PESSIMISMO? MA LA SINISTRA NON SIA RINUNCIATARIA

di Gianni PRINCIPE

Premessa doverosa per non far perdere tempo a chi legge.

Se siete convinti/e che l’agenda Draghi abbia fatto bene al Paese è inutile che andiate avanti. Al più, se vi interessa comunque approfondire, senza vantare certezze assolute, posso consigliare la lettura di un libretto molto agile di recente pubblicazione, “Eclissi di costituzione” di Tomaso Montanari (ed. Chiarelettere).

Se poi, oltre ad apprezzare l’agenda Draghi, siete convinti che anche la maggioranza del Paese l’abbia apprezzata e non veda l’ora di votare per Letta e il suo campo, lasciate proprio perdere: mi limito a mettervi una piccola pulce nell’orecchio. Pur non condividendo l’operato di Letta, fin prima dello “stai sereno”, per essere stato il PdC dei “centouno” (chi non avesse dimestichezza con la storia delle dinamiche interne del PD può trovare spiegazione in Google), lo considero tuttavia mediamente capace di ragionare per cui sono convinto che il suo obiettivo (ben sapendo che la vittoria elettorale del suo “campo” è una chimera) sia quello di piazzarsi secondo dietro una destra che non gliela fa da sola (a sinistra ci sarà pur qualcosa!).

L’idea è che ciò gli permetterebbe di giocare una partita politica da due forni (scuola Andreotti): lo stesso disegno di Renzi nel 2018, naufragato perché i conti finali non tornarono. Cogliere fior da fiore alla sua destra e alla sua sinistra per una riedizione delle larghe intese così da far passare dalla finestra dei giochi di palazzo quello che non è passato per la porta del volere popolare. Peccato che sia un gioco ad alto rischio per il peso dei collegi uninominali (vedi 2018 per i Cinquestelle nel sud) che potrebbero permettere alla destra di far saltare il banco.

Veniamo ora al dunque, rivolto a chi legge avendo in mente di far valere la forza (il consenso) potenziale della sinistra ecologica-sociale-pacifista per l’eguaglianza. Qui di seguito propongo un ragionamento proprio attorno al peso dei collegi uninominali in questa legge elettorale incostituzionale con cui tuttavia si decidono i prossimi cinque anni della politica (parlamentare) italiana.

In una partita a tre (destra, ag. Dr., sinistra) in ogni collegio chi ha un voto in più vince. Cambia però molto se il terzo incomodo è unito o è frammentato. Per una singola lista, una volta che riesca a fare il 3%, che sia in coalizione o isolata cambia poco sul proporzionale: ma sull’uninominale la differenza è decisiva.

Prendo come esempio qualche amico/a per non fare nomi che potrebbero non gradire. Immagino un Valerio Tramutoli candidato nella sua Potenza, dove è arrivato a un soffio dalla vittoria al ballottaggio con Basilicata Possibile. Non ho idea se accetterebbe mai di candidarsi e non sto qui a ipotizzare quali potrebbero essere le sue preferenze se SI-EV, 5stelle, Unione Popolare, Azione Civile, Unità Popolare e quant’altri si presentassero divisi ma è evidente che, non essendovi possibilità di voto disgiunto, chi fosse affezionato ad una delle liste non collegate a Tramutoli difficilmente “tradirebbe” la “sua” lista per votarlo. Diverso sarebbe se la sua lista fosse in coalizione con quella in cui Tramutoli potrebbe essere candidato anche al proporzionale. Bene, quanti/e potrebbero essere attratti/e dall’idea di votarlo al punto di vincere le resistenze che, altrimenti, li/le porterebbero a astenersi? Potrei fare lo stesso discorso per Gregorio De Falco, ischitano insediato a Livorno, oggi senza casa e incline, così stando le cose, a tornarsene a casa. O per il citato Tomaso Montanari, ben radicato nella sua Toscana tra Firenze e Siena, e per Anna Falcone, che a Bologna ha fatto una percentuale record (all’interno di LeU) nell’uninominale nel 2018 e ha raccolto consensi e voti nella sua Calabria alle ultime regionali: due nomi che molti ancora ricordano per il generoso tentativo del cosiddetto “movimento del Brancaccio”. Andando oltre la cerchia di persone a cui sono più vicino, faccio qualche nome estraneo alla politica professionale ma di grande richiamo, come Moni Ovadia, o Ilaria Cucchi, Paola Deffendi in Regeni, o Luciana Castellina.

Ma, senza girarci troppo attorno, il discorso vale anche per i leader nazionali: bastano due esempi. L’ex sindaco di Napoli, nella città che ha governato a lungo vantando di aver conseguito risultati che lasciano il segno, può aspirare ad arrivare primo in una contesa a tre in uno dei collegi di quella città, o nella Calabria che ha girato in lungo e in largo riscuotendo apprezzamenti e un numero di voti non trascurabile. Ma può sperare lo stesso se può essere votato solo da chi si riconosce in Unione Popolare? L’ex Presidente del Consiglio che ha toccato un record di consensi personali a metà del 2020 può ambire ad arrivare primo in una contesa a tre in quello tra i 221 collegi uninominali (tra Camera e Senato) in cui i sondaggi lo vedono meglio piazzato. Ma può sperare lo stesso se può essere votato solo da chi sceglie il M5S?

Ora però il discorso tra questi vari spezzoni è bloccato sui rapporti politici tra le liste, che poi in realtà si traduce nel rapporto tra gli apparati, gli attivisti, i bacini potenziali di voto proporzionale. Come se l’uninominale fosse un terreno impraticabile. Come se il tema dell’uninominale si risolvesse nel riempire, all’ultimo momento, quelle caselle per salvare le apparenze. In una logica tutta proporzionale che cozza con il sistema che è stato escogitato, in questo modo arzigogolato, per il motivo cui ho accennato in premessa: per non far vincere nessuno. L’agenda Draghi, come le larghe intese di Letta-Renzi-Gentiloni, ha bisogno di una sinistra ai margini e soprattutto frantumata, perché sottragga i voti necessari per arrivare a un risultato di stallo ma non tanti da impedire l’ammucchiata delle larghe intese.

Questo destino va scongiurato ora, decidendo subito, anche in base a un ragionamento fatto sin dal principio sui collegi uninominali e sul vantaggio di essere in coalizione. Altrimenti non parliamo di politica (parlamentare) ma di carriere personali. E diamo ragione a chi ha deciso di stare alla finestra: “tanto si sa già come va a finire, e speriamo che gli adolescenti di oggi siano, in un futuro non troppo lontano, più bravi di noi”: sottinteso, noi coglioni che abbiamo collezionato solo sconfitte.

Autore

  • Giovanni Principe, detto Gianni, dirigente storico della Cgil, laureato in Architettura ed Economia del territorio, opinionista ed autore di varie pubblicazioni. Da 40 anni al lavoro, su economia e politiche del lavoro (Ispe, Cgil, Isam, Isae, Isfol). Impegnato per cambiare le cose; è il modo giusto di vederle.

    Visualizza tutti gli articoli

Potrebbe piacerti anche

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da parte di questo sito web.

?>