CONSIDERAZIONI SULLE ELEZIONI REGIONALI IN MOLISE DEL 25 E 26 GIUGNO 2023

di Pino D'ERMINIO

Un’analisi accurata del voto dei molisani alle regionali appena concluse richiederebbe la conoscenza dei risultati e dei flussi articolati per sesso, età, grado di istruzione, attività svolta, classe sociale, luogo di residenza. Dati stimabili con un’indagine demoscopica che non c’è o, se c’è, non è di dominio pubblico.

Ciò nonostante, alcune considerazioni generali si possono fare con l’ausilio dei soli risultati elettorali generali.

Cominciamo dalla partecipazione al voto. Il dato ufficiale dei votanti rispetto agli elettori, raffrontato con le regionali del 2018, mostra un calo percentuale non particolarmente accentuato dal 52,2% al 47,9%. Si è però rilevato che alle regionali sono inclusi tra gli elettori anche i molisani residenti all’estero, la cui reale partecipazione al voto è trascurabile, se non nulla. Tenendo conto solo degli elettori residenti in regione, nel 2023 ha votato il 64,8%, contro il 68,3% del 2018. Per chiarezza, ho ricalcolato la partecipazione al voto confrontando i votanti (157.181 nel 2023) con i soli elettori residenti in Molise (242.494 nel 2023), non con il numero totale degli elettori (327.805 nel 2023), che include i residenti all’estero. Così ricalcolati, i dati regionali sono confrontabili con la partecipazione al voto nelle politiche del 2022, dove sono elettori solo i residenti in regione, che è stata del 56,6%. La maggiore partecipazione al voto alle regionali, rispetto alle politiche, indica che in Molise il richiamo al voto è più personale che politico. Concetto espresso efficacemente dall’eurodeputato Aldo Patricello in una intervista pubblicata il 25 giugno, quando ha affermato: «Contano le famiglie, si vince annullando l’identità.» In termini più crudi, si vince con le pratiche clientelari, concedendo o, più frequentemente, promettendo favori e protezione, piuttosto che tutelando i diritti; si vince spogliando i cittadini della loro identità civile e riducendoli a clientes.

Un indice della propensione alla personalizzazione e spoliticizzazione del voto si può desumere confrontando il numero dei voti al solo candidato presidente, che riflettono un orientamento politico di area, con quelli totali alla coalizione. Lo schieramento più personalistico è quello detto di centro-destra, dove il 3,7% dei voti raccolti dalla coalizione sono andati al solo candidato presidente, mentre nello schieramento chiamato progressista i voti al solo candidato presidente sono stati l’11,5% del totale ottenuto dalla coalizione.

Venendo ai risultati di coalizione, il dato più eclatante è il balzo in avanti del centro-destra, che ha raccolto il 62,2%, rispetto al 43,7% delle regionali del 2018 ed al 42,9% delle politiche del 2022. I progressisti si sono fermati al 36,2, mentre nel 2018 il M5S da solo ha raccolto il 38,8% e la coalizione guidata dal PD il 17,2%; nelle politiche del 2022 il M5S, sempre da solo, è sceso al 24,3% e la coalizione a guida PD è salita al 23,3%.

I risultati elettorali delle regionali 2018 e delle politiche 2022 potevano far pensare ad una contendibilità delle regionali del 2023, se non ad un vantaggio dei progressisti, dato anche il disastroso quinquennio presieduto da Toma, che i suoi stessi compagni di coalizione hanno preferito mettere da parte. Il risultato del centro-destra è ancora più sorprendente se guardiamo ai consiglieri eletti: nel nuovo Consiglio regionale sono 13, nel precedente 12, di cui ben 9 sono conferme di consiglieri uscenti. A parte il siluramento di Toma ed il cambio del candidato presidente, la nuova maggioranza regionale è un calco di quella precedente; quindi il balzo elettorale non può essere spiegato con un rinnovamento del personale politico di centro-destra, che pure nella consiliatura uscente ha dato pessima prova di sé. Basti menzionare lo stato di “liquefazione” del Servizio sanitario regionale ed il dissesto del bilancio regionale (il rendiconto del 2021 è stato bocciato dalla Corte dei conti nel giudizio di parificazione e quello del 2022 non è stato approvato dal Consiglio uscente).

È vero che anche i progressisti non hanno brillato dal lato del rinnovamento dei candidati e delle proposte politiche. Questo avrebbe potuto favorire un aumento del non voto, che c’è stato, però in misura modesta, insufficiente a spiegare lo spostamento di più di 20.000 voti da uno schieramento all’altro: il centrodestra ha raccolto 94.770 voti, contro i 73.229 del 2018. A favore del centro-destra ha probabilmente giocato anche il conformismo di elettori spoliticizzati, che tendono a seguire l’onda, capaci di passare dal voto al M5S a quello a FdI.

L’interpretazione più plausibile del voto mi sembra quella di classificare gli elettori molisani in tre gruppi: quelli, circa un terzo, che hanno “staccato la spina” con la politica e le istituzioni rappresentative; quelli, minoritari, che votano per credo politico (più a sinistra che a destra); quelli, maggioritari, che non credono alla politica, ma votano la persona o seguono la tendenza del momento.

Autore

  • Giuseppe (detto Pino) D’Erminio è nato a Termoli il 26 aprile 1950. È laureato in Economia e commercio. Fino al 2016 ha lavorato nel settore assicurativo, area marketing, presso direzioni di compagnie e come consulente. Ha aderito al Manifesto ed al Pdup, quando furono costituiti. Successivamente è stato delegato sindacale per alcuni anni nel Consiglio d’azienda dell’impresa dove lavorava. Negli ultimi anni ha collaborato e collabora tuttora con associazioni e gruppi civici.

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