Una novità eclatante per la prima volta in cinquant’anni, al G7 (Il Gruppo dei Sette, di solito abbreviato in G7, è un forum intergovernativo composto da Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America, nazioni sviluppate il cui peso politico, economico, industriale e militare è ritenuto di centrale importanza su scala globale), si è
parlato di tassazione dei super-ricchi, nella dichiarazione finale. Questo rimane l’unico aspetto positivo di un summit in cui i leader mondiali hanno completamente mancato di affrontare seriamente le cause strutturali delle disuguaglianze e le tematiche più profonde di un contesto internazionale fortemente segnato da innumerevoli emergenze umanitarie come il conflitto tra Israele e Gaza, con la spirale di violenza che sta continuando a mietere vite innocenti, la crisi climatica e la crescente insicurezza alimentare.
Finalmente nel comunicato conclusivo del G7, i capi di stato hanno, anche se sarebbe stato il caso di farlo non solo dichiararlo, concordato sulla necessità di aumentare le imposte sui più ricchi, seguendo le richieste della maggioranza dei cittadini di tutto il mondo che chiedono inequivocabilmente una tassazione personale più equa e, soprattutto, progressiva. In molti paesi, troppi, infatti, i ricchi versano oggi, in proporzione al reddito o patrimonio, molto meno tasse al confronto dei contribuenti con redditi più modesti o patrimoni irrilevanti. Si tratta di una fondamentale e importante presa d’atto, di una ingiustizia vergognosa ma chiaramente non basta. Bisogna ora passare ai fatti il prima possibile. Ora i leader del G7 devono ora dar prova concreta e fattiva del loro pieno sostegno all’adozione di un’agenda internazionale per la tassazione delle persone ultra-ricche, promossa, da tempo, dalla presidenza brasiliana del G20. Il Gruppo 20 (o G20) è un forum dei leader, dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali, creato nel 1999, dopo una successione di crisi finanziarie per favorire l’internazionalità economica e la concertazione tenendo conto delle nuove economie in sviluppo. Di esso fanno parte l’Unione Europea, l’Unione Africana e 19 paesi tra i più industrializzati del mondo (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, India, Indonesia, Francia, Germania, Giappone, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sudafrica, Turchia) nonché una serie di invitati occasionali (di norma uno o due stati scelti dal paese che ha la presidenza di turno) e permanenti (la Spagna, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e altri). Questo contribuirebbe molto a rafforzare l’equità e la giustizia dei sistemi fiscali, ridurre di molto le disuguaglianze e potrebbe, in prospettiva, generare risorse cruciali, se ben spese, per finanziare i crescenti bisogni sociali, come la sanità gratuita e universalistica per tutti, il diritto allo studio garantito a tutti e nel mondo intero. Implementare gli investimenti mondiali per un lavoro garantito a tutti equo, ecosostenibile per portare avanti la lotta al cambiamento climatico.
Pochi spiccioli insignificanti per i super ricchi ultramiliardari ma soldi utilissimi per garantire i bisogni primari per miliardi di persone. Ora se persino al G7 se ne sono resi conto bisogna rendere possibile questa semplice azione di giustizia a livello mondiale. Tutto questo se dichiarato espressamente ai massimi livelli mondiali G20 e G7, non è più una utopia irrealizzabile, ma una cosa assolutamente fattibile.