“Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc, 2,10-11). L’angelo annuncia ai pastori la nascita di Cristo, si rivolge agli ultimi nella certezza che essi, con umiltà di cuore, comprendano il messaggio divino. Anche per i non credenti resta il fatto che Gesù è nella storia dell’umanità e, se la sua vita e la sua parola fossero frutto di un romanziere, allora potremmo dire che questo è stato senza dubbio il più
talentuoso del suo tempo. Ma quale folle disobbediente si lascerebbe portare alla morte in croce lasciando “un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni agli altri” (Gv 13,34)? Penso spesso a questo «comandamento», specie con l’avvicinarsi del Natale, ma non riesco ad accostare a queste meravigliose e nel contempo grandi parole, l’imperterrita volontà dell’uomo di prevalere su altri simili, utilizzando tutte le soluzioni drammaticamente conosciute.
Trascorrere anche questo Natale nella consapevolezza che perdurano conflitti e ingiustizie, comporta un certo grado di complicità e responsabilità individuale e collettiva. Provo a cercare risposte, come mia consuetudine, presso chi per vocazione e passione ha fatto una scelta di vita che si rinnova quotidianamente al servizio del prossimo. L’intervista che segue è rivolta a Don Antonio Di Lalla, parroco in Larino, direttore del periodico “La Fonte” e raffinato intellettuale sempre attento alle dinamiche sociali e politiche:
Don Antonio per un istante proviamo a spostare indietro le lancette della macchina del tempo e pensiamo a Gesù che nasce sotto le bombe. Un’idea in apparenza retorica, forse spesso evocata, ma proviamo a immaginare il dialogo tra Giuseppe e Maria, tra due genitori che, come tanti oggi, temono per la vita dei propri figli in Palestina, Ucraina, Libano, Sudan, ecc.; cosa deciderebbero di fare? Fuggire o emigrare? Nascondersi, dove?
Maria e Giuseppe oggi sono tra i profughi, tra i naufraghi, sotto le bombe di guerre sempre più assurde perché Dio continua a stare con gli scarti dell’umanità. È lì che continua a incarnarsi. Il Natale non è il compleanno di Gesù. È la certezza di un Dio così innamorato delle persone che decide di condividere la loro sorte. Per non creare imbarazzo in coloro che l’avrebbero avvicinato sceglie di farsi bambino e povero in un luogo marginale rispetto all’impero romano a tal punto che i primi ad accoglierlo sono i pastori, categoria fra le più disprezzate a quei tempi perché non potevano praticare il culto e spesso si “arrangiavano”. Le crisi le vivono quelli che stanno bene, per i poveri la vita è sempre una sfida. Ieri come oggi.
“La tregua di Natale”, ci sono riusciti nel 1914 gli opposti schieramenti di franco-scozzesi e tedeschi, sembra oggi improponibile. Troveranno il coraggio per disobbedire i soldati di tutte le guerre in corso e celebrare le ricorrenze secondo la propria fede?
Ha senso combattere il giorno prima e il giorno dopo di Natale? I cristiani di tutte le chiese dovrebbero rifiutare radicalmente le guerre, rifiutare di arruolarsi, come nei primi secoli, perché la violenza non è compatibile con la fede, con l’amore che siamo chiamati a testimoniare. Andrebbero riconvertite le industrie belliche, dovrebbe cessare il commercio delle armi. Abbiamo una missione portare la pace con la pace, perché se accettiamo la logica del “si vis pacem para bellum” (se vuoi la pace prepara la guerra) ne conseguirà “si vis bellum para culum” (penso che non ci sia bisogno di tradurre!).
Se domandassimo a un marxista perché si combattono le guerre, risponderebbe “per il capitale”. Cosa risponde un prete?
Le guerre sono al servizio delle classi dominanti che perseguono i loro interessi economici. Se cristiani e marxisti non si facessero trascinare nella logica della guerra e rifiutassero davvero il capitalismo, le multinazionali e tutti quelli che si arricchiscono col sudore e il sangue dei poveri, il mondo prenderebbe un’altra piega!
Anche in questo Natale, la risposta alle guerre, ai migranti in fuga, ai bassi salari, alla precarietà e alla disoccupazione sembra essere la mondanità. Una risposta omologata per assopire passioni, pensiero e rivolta sociale?
Spesso si festeggia il Natale dimenticando il festeggiato! Ma sono animato da una sana speranza che un mondo nuovo sta nascendo nonostante le apparenze dicano altro. Ogni nascituro è fragile, non fa rumore, non si impone: chi avrebbe scommesso su quel bambino nato a Betlemme? Eppure è lui che ha dato una svolta alla storia. Sembra ancora buio pesto, ma dobbiamo forzare l’aurora perché un nuovo giorno nasca e con esso una nuova umanità. È per questo che viviamo, lavoriamo, lottiamo. Cristiani e diversamente credenti siamo animati da una certezza che il male non può avere la meglio, che la luce si imporrà sulle tenebre.