Sempre più spesso si parla di AI e di AGI – acronimi in inglese di intelligenza artificiale e di intelligenza artificiale generale – confrontate con quella che possiamo chiamare naturale o biologica, cioè l’intelligenza di cui dispongono molti animali, sia pure in gradi diversi. Si impone preliminarmente la necessità di definire cosa si intenda per “intelligenza”. Quesito di micidiale difficoltà, perché l’intelligenza è un insieme di diverse capacità fondamentali, accompagnate da capacità complementari. Quest’ultime da sole non bastano tuttavia a configurare un essere intelligente. Mi riferisco a quelle capacità sensoriali, adattive e di autoconservazione, del tipo stimolo-risposta, che si riscontrano in tutti i viventi, a seguito di sollecitazioni (ad esempio la temperatura o la luce), ma anche alla percezione del dolore e del piacere od ai meccanismi biochimici che governano la riproduzione. A questi livelli, dove non interviene la volontà, non mi sembra che si possa parlare di intelligenza.
A me pare che componente essenziale dell’intelligenza sia la consapevolezza di sé e, conseguentemente, di quanto è distinto da sé. L’intelligenza è prima di tutto intelligenza di se stessi: cogito ergo sum. Oltre all’autocoscienza, c’è una seconda componente dell’intelligenza, misteriosa e magica: la creatività; cioè la capacità di immaginare e realizzare ciò che mai prima è stato immaginato e realizzato. Il campo scientifico-tecnico e quello artistico, in apparenza diversissimi, sono entrambi frutto della creatività, che è funzionalmente la medesima nell’uno e nell’altro. Una terza componente è l’intelligenza emotiva, ovvero la capacità di sviluppare sentimenti propri e, entro certi limiti, di cogliere quelli altrui. Una quarta componente è la facoltà di sviluppare il pensiero astratto o concettuale, dal quale scaturisce tutta la matematica, così come, ad esempio, il concetto di cavallo, come generalizzazione dei cavalli empirici. Quinta componente è la facoltà classificatoria, cioè di ordinare e raggruppare enti di qualunque natura secondo criteri frutto di ragionamenti non precostituiti; ad esempio, creando la tavola periodica degli elementi di Mendeleev (pron.: Mindilìjef). Sesta ed ultima componente mi pare la memoria, intesa come capacità di conservare e di richiamare una traccia mentale di eventi, nozioni e concetti, dunque di apprendere. Riepilogando, possiamo identificare l’intelligenza come l’insieme di sei facoltà fondamentali: autocoscienza, creatività, emotività, astrazione, classificazione e memoria (alias apprendimento).
Nella cosiddetta intelligenza artificiale di queste facoltà è riscontrabile soltanto la memoria, che anzi è enormemente più potente di quella biologica. Se diamo in pasto ad un programma di AI milioni di informazioni (depurate da quelle false) su, poniamo, Giacomo Leopardi, possiamo ricavarne un informato e decoroso saggio sul poeta, privo però di qualsivoglia originalità, perché il programma confronta ed assembla le informazioni di input secondo i criteri dati dai programmatori, ma non è in grado di svilupparle in modo creativo. Potremmo anche chiedere all’AI di scrivere una poesia leopardiana ed il programma ci restituirebbe un testo alla Leopardi, ma mai un testo di Leopardi, del quale non ha né la creatività né i sentimenti (l’emotività). Inoltre l’AI non “capisce” quello che produce, non è consapevole di quello che fa e di quello che è.
Con l’AGI (detta anche intelligenza artificiale forte) si ipotizza di creare una macchina che non solo sia in grado di apprendere e di elaborare secondo criteri discrezionali le informazioni memorizzate, ma anche di capirle, dunque di pensare il pensiero, ovvero dotata di autocoscienza. Ritengo impossibile creare una tale macchina, ma se anche lo fosse, mancherebbe di creatività e di emotività (dunque di volontà) e sarebbe solo in parte paragonabile all’intelligenza biologica. Escludo pertanto che si possa realizzare il futuro distopico dominato dalle macchine, immaginato dalla fantascienza.
L’impatto che avrà l’AI in campo economico, sociale, scientifico, artistico e politico sarà enorme, specialmente nel risolvere brillantemente ed in tempo reale i problemi di ottimizzazione, di cui si occupa la ricerca operativa, e nel vagliare ed assemblare milioni di dati, secondo criteri assegnati. C’è il rischio che nelle attività produttive si espanda la tendenza a trasformare l’uomo in un servomeccanismo, anche per i profili professionali alti? Indubbiamente sì, ma c’è anche la possibilità opposta di un innalzamento delle capacità produttive attraverso un potenziamento del lavoro, non del capitale. Nel primo caso si restringerebbero gli spazi democratici ed aumenterebbero le disuguaglianze; avverrebbe tutto il contrario nel secondo. Come andranno le cose lo stabilirà un processo sociale antico, la lotta di classe, data frettolosamente per morta con la presunta fine della storia e l’elevazione del capitalismo ad unico ed ultimo sistema possibile.