PENSIERI SUL FUTURO DELLA CRISI (Parte III)

di Gianni PRINCIPE

– Qual è il senso politico dell’operazione?
Il primo referente italiano dell’operazione è stato il Presidente Mattarella, che con i suoi collaboratori aveva misurato con maggiore prontezza la consistenza dell’attacco a Conte. La ricostruzione degli avvenimenti che appare più fedele porta a dire che, una volta preso atto dei rapporti di forza, sia Zingaretti che Di Maio oltre che (per quanto obtorto collo) lo stesso Conte hanno offerto al Presidente una sponda, così che potesse convincere l’ex presidente BCE, fin lì recalcitrante, a prestarsi, a tempo determinato, a un’operazione di emergenza.

È bene mettere in rilievo, per maggiore chiarezza, che l’operazione è stata costruita attraverso passaggi conditi da forzature istituzionali che probabilmente non sarebbero state ammissibili se non vi fosse stato il precedente (nella fase, ancora più convulsa, quasi eccezionale, della fine della Prima Repubblica) del governo Ciampi: un governo rivolto a tutte le forze politiche, per non attribuire agli assalitori del governo in carica la vittoria e la paternità dell’operazione, “non riconducibile ad alcuna formula politica”, perché nessuno degli assalitori ponesse ipoteche, né veti sugli uscenti.
Il passaggio da chiarire, che oggi la quasi totalità degli organi di informazione tende ad oscurare e che solo col tempo potrà acquistare contorni più chiari, è dunque questo: la crisi del governo Conte è stata una vittoria del fronte che possiamo chiamare del “salotto buono in declino verticale” che puntava a rientrare in gioco nella distribuzione dei fondi UE, per volgere a proprio vantaggio l’allentamento dei vincoli determinato dalla svolta europea. La chiamata di Draghi è stata la risposta attraverso cui i centri del potere economico-politico europei (in accordo con il Presidente Mattarella e per suo tramite) hanno tentato di sventare, o quanto meno arginare, la manovra culminata con la caduta del Conte2 e impedire un ritorno indietro dell’Italia, ai riti della spartizione parassitaria delle risorse pubbliche.
– Qual era lo stato dei rapporti tra l’Italia e l’Europa al momento della crisi?
Qui è forse necessario ricostruire per grosse linee le conseguenze che la svolta europea aveva determinato nel frattempo in Italia, su cui occorre affermare una visione meno deformata da narrazioni di comodo.
Ricordiamo innanzi tutto che Salvini si era chiamato fuori dalla svolta europea post-elezioni nel 2019 quando, dopo che il suo capogruppo a Bruxelles aveva annunciato il voto favorevole alla von der Layen (con Giorgetti commissario), si è accodato alla Le Pen nel voto contrario del gruppo sovranista di cui la Lega fa parte: il Papeete è stato solo l’epilogo inevitabile del tragitto cominciato a Bruxelles.
A quel punto la strategia che i danti causa di Renzi avevano messo in piedi dopo le elezioni dell’anno precedente (far elidere a vicenda i “due populismi di segno opposto”) è andata in frantumi e hanno ripiegato, per evitare elezioni che sarebbero state un trionfo per i sovranisti, su un governo da tenere sotto ricatto attraverso i referenti interni al PD (di cui una parte, essendo il partito, nel frattempo, passato alla gestione Zingaretti, si stava organizzando autonomamente con Renzi in IV).
Per un intreccio di circostanze, che potranno trovare una ricostruzione più approfondita in futuro, il governo nato a fine estate 2019, ha assunto nel tempo un assetto, ulteriormente consolidato nel vivo della crisi pandemica tuttora in atto, che ha segnato, almeno su alcune partite di peso non secondario, in campo economico, sociale, ambientale, una sempre più chiara discontinuità.
Permanevano, indubbiamente, debolezze, contraddizioni e retaggi di tendenze storiche della politica italiana, ma in un quadro d’assieme che faceva scorgere un cambio di indirizzo, di cui Conte appariva il garante e il punto di equilibrio. Tanto da guadagnare consensi, soprattutto per l’approccio, improntato alla trasparenza e alla responsabilità, nella gestione della emergenza sanitaria. E tanto da meritare, a livello europeo, gradualmente e non senza resistenze e diffidenze, un’apertura di credito da parte della nuova leadership di Bruxelles. Che a sua volta era costretta a fare i conti con un cambiamento di clima politico, in particolare nel cuore dell’Unione, a Berlino, dove i popolari erano chiamati ad affrontare la successione della Merkel in una congiuntura economica poco brillante.

Che ruolo spettava ai partiti della ex maggioranza giallorosa nella soluzione della crisi?
I partiti della maggioranza uscente, una volta venuto meno l’apporto di IV, decisivo per la maggioranza assoluta in Senato, erano chiamati a far valere il consenso che avevano guadagnato nel Paese, se lo avevano effettivamente guadagnato, per condizionare l’esito della crisi, contribuendo non solo ad arginare ma a ridurre all’irrilevanza lo schieramento raccolto attorno al “salotto buono in pieno declino”. Da questo tema si dovrà partire per il prosieguo del discorso guardando al futuro

Autore

  • Giovanni Principe, detto Gianni, dirigente storico della Cgil, laureato in Architettura ed Economia del territorio, opinionista ed autore di varie pubblicazioni. Da 40 anni al lavoro, su economia e politiche del lavoro (Ispe, Cgil, Isam, Isae, Isfol). Impegnato per cambiare le cose; è il modo giusto di vederle.

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