È RICHIESTO UN RESET DI SISTEMA NELL’ITALIA DEL DOPO TRUMP (Parte II)

di Gianni PRINCIPE

Le ragioni profonde dell’involuzione della sinistra italiana vanno cercate nella perdita della memoria storica. La nostra è una società immersa in un eterno presente, quindi incapace di immaginare un futuro alternativo. Mentre, nel mondo, si assiste a un ritorno a Marx e a Gramsci.

La situazione della sinistra italiana è grave soprattutto se la si giudica sul piano della elaborazione culturale. Qui, il confronto con il fermento che altrove anima la sinistra nelle sue varie articolazioni è particolarmente deprimente. Non solo non c’è traccia di una ricerca di nuovi paradigmi, ma si sta perdendo la memoria del nostro passato e manca un lavoro di ricostruzione delle radici teoriche, che nel resto del mondo (in tutti i continenti) va avanti, assumendo due punti di riferimento principali.
Il primo, in campo economico, è Karl Marx. Per chi analizza i fallimenti del liberismo sul piano della costruzione del sistema di relazioni sia tra gli umani che tra questi e la natura, è fondamentale definire una mappa concettuale che aiuti a darne una spiegazione, oltre che a disegnare rotte per il futuro. E quella fornita dall’analisi di Marx appare di nuovo la più convincente, e la più feconda, in quanto ha svelato la deformazione connaturata al meccanismo dell’accumulazione capitalistica. Giusto per rinfrescare la memoria, si tratta del concetto chiave su cui poggia “Il Capitale”, la rivoluzione nei rapporti sociali che si è determinata con il passaggio dal ciclo M-D-M (merce-denaro-merce) su cui si reggeva l’economia mercantile (il sistema di produzione di merci mediato dal denaro) a quello D-M-D su cui si regge il sistema capitalistico di mercato (l’accumulazione di ricchezza monetaria attraverso l’estrazione di pluslavoro, trasformato in plusvalore nel processo di produzione). Una rivoluzione che genera una dinamica dell’accumulazione di ricchezza che non ammette limiti, né nelle relazioni sociali né nel rapporto con l’ambiente da cui traiamo risorse vitali.
Partendo da Marx, l’attenzione è rivolta ai pensatori che dopo di lui, anche non “marxisti” secondo la definizione classica, hanno arricchito parti centrali della sua teoria (come Keynes, o Kaldor, per fare due nomi di richiamo). Tra questi, occupano un posto di rilievo anche alcuni economisti italiani, come Sraffa, amico di Gramsci, emigrato a Londra a sviluppare una teoria del plusvalore più ampia e più solida di quella di Marx. o come, nei primi decenni del dopoguerra, Caffè, Sylos-Labini e Napoleoni, tre “irregolari” estranei alla corrente dominante.
L’altro citatissimo punto di riferimento, in campo sociologico (nel significato politico che al termine dava lo stesso Marx), è un altro “grande italiano”, Antonio Gramsci. Il crollo del Muro, il dissolvimento repentino e incontrastato del sistema sovietico (il “socialismo reale”), ha costretto a fare i conti con le contraddizioni irrisolte delle teorie politiche alla base del comunismo della Terza Internazionale. Così, nella ricerca di un’alternativa all’ortodossia leninista, per chi non intendeva rinunciare al nesso con la teoria economica di Marx, ha riscosso un grande interesse l’elaborazione di Gramsci, abbozzata sin dall’Ordine Nuovo e approfondita poi negli anni del carcere. Concetti come quello di egemonia, o di rivoluzione passiva, hanno permesso di ipotizzare tragitti diversi, diversi rapporti tra politica e economia, diverse accezioni di democrazia e di potere, diverse soluzioni al problema della coerenza tra le fasi della transizione e il nuovo ordine politico, economico, sociale.

Autore

  • Giovanni Principe, detto Gianni, dirigente storico della Cgil, laureato in Architettura ed Economia del territorio, opinionista ed autore di varie pubblicazioni. Da 40 anni al lavoro, su economia e politiche del lavoro (Ispe, Cgil, Isam, Isae, Isfol). Impegnato per cambiare le cose; è il modo giusto di vederle.

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