Quella sera calò sul mio sguardo un velo di tristezza. Sentii il cuore diventare piccolo piccolo. Un miscuglio di dolore e rabbia mi attraversava: il dolore di una perdita insopportabile e la rabbia che alimentava la voglia di darsi da fare.
Sono passati ben quarant’anni. Siamo al 3 settembre del 1982. A 22 anni, mi trovavo insieme a tanti altri giovani provenienti da tutto il Paese. Eravamo nel pieno di una settimana di formazione quadri organizzata dalla FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana). Quell’anno ci trovavamo in una piccola e meravigliosa località, a Castro Marina, in Puglia.
Anche quella sera avremmo dovuto trascorrerla cantando le canzoni più impegnate o spensierate della musica di quel tempo. Le risate scandivano quello stare insieme dopo una giornata così impegnata sul piano culturale, spirituale e progettuale.
Quella sera, invece, cambiò tutto. Il clima tra noi era diverso. Era giunta come una saetta la notizia che a Palermo era stato ucciso il Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e con lui la giovane e dolce moglie Emanuela Setti Carraro e il fidato agente di scorta Domenico Russo.
Sentivamo che era nell’aria una cesura tra un “prima” e un “dopo”.
Già il 30 aprile dello stesso anno eravamo stati scossi da un altro gravissimo delitto politico-mafioso: era stato colpito Pio La Torre e, accanto a lui, fu ucciso anche il suo valoroso compagno Rosario Di Salvo.
Dalla Chiesa era arrivato a Palermo proprio dopo quel terribile omicidio. Da Generale, aveva dato un contributo decisivo nella battaglia contro il terrorismo.
Tutti pensavamo che potesse vincere anche quella contro la mafia, ma in questa sfida non gli furono dati gli strumenti adatti per poterla portare a termine. Contro il terrorismo lo Stato si adoperò al meglio delle sue possibilità, contro la mafia no. Perché? Perché il terrorismo era vissuto come un nemico comune e una minaccia esterna allo Stato.
La mafia era ed è tutt’altra cosa: una realtà legata alla società, all’economia, alla politica, allo Stato. Il suo sistema di collusioni crea facilmente divergenze, dissapori, ambiguità e tanti ostacoli a chi vuole combatterla. Dalla Chiesa cercò in tutti i modi di far capire che bisognava farla finita con i boss ma non fu ascoltato. Fu lasciato solo e la mafia poté così colpirlo.
Sapevano tutto dei suoi movimenti nonostante il Prefetto fosse abile, accorto e prudente. Lasciata la prefettura, sita nella storica Villa Whitaker, a poche centinaia di metri, in via Isidoro Carini, fu raggiunto da un vero e proprio commando mafioso. In sella a una motocicletta Honda di grossa cilindrata, Giuseppe Lucchese, accompagnato dall’altro killer Giuseppe Greco (detto “Scarpuzzedda”), affiancò l’Alfetta della scorta con a bordo Russo e lo colpì con un fucile d’assalto AK-47. Contemporaneamente, un’autovettura status symbol per quei tempi, una BMW 518, guidata dal boss della Noce Calogero Ganci, con a fianco il sanguinario Antonino Madonia, raggiunse la A112, dove stavano insieme Dalla Chiesa e la Setti Carraro, desiderosi di raggiungere Mondello per passare finalmente una serata piacevole. Erano passati solo cinquantaquattro giorni dal loro matrimonio. Madonia aprì il fuoco, scaricando contro il servitore dello Stato e la sua amata crocerossina una raffica di colpi. A bordo di un’altra automobile, i killer Francesco Paolo Anzelmo e Giuseppe Giacomo Gambino controllavano che tutto filasse liscio. Un agguato spietato e militarmente eclatante.
Anche dopo ben quarant’anni, ci sono almeno tre lezioni che non si possono dimenticare.
Prima lezione: la mafia è un sistema integrato e per colpirla e liberarcene bisogna avere una progettualità integrata. Dalla Chiesa lo aveva compreso bene, tanto che agiva contemporaneamente sul piano educativo con i giovani e le scuole, sul piano sociale promuovendo i diritti, a cominciare da quelli del mondo del lavoro, sul piano economico, chiamando alla propria responsabilità le imprese, sul versante politico-istituzionale, spiegando in tutti i modi al Governo e ai leader politici che con le collusioni bisognava smetterla e che lo Stato doveva imporre la sua sovranità democratica. Una progettualità integrata oggi ancora manca. Questa lezione è attualissima.
Seconda lezione: l’Antimafia “del giorno dopo” è sempre molto limitata. Dalla Chiesa condivideva con Pio La Torre la proposta di legge per colpire il reato di associazione mafiosa e le ricchezze dei boss. Questa legge alla fine fu approvata, ma soltanto “dopo” il 30 aprile e il 3 settembre. Il Parlamento varò infatti la legge sul 416-bis e sul sequestro e la confisca dei beni solo il 13 settembre 1982: “il giorno dopo” appunto. Negli anni, e dopo tante altre stragi, sull’Antimafia del “giorno dopo” siamo diventati bravi, su quella del “giorno prima” così voluta da Dalla Chiesa ancora non ci siamo. Una lezione che deve rilanciare una nuova stagione dell’Antimafia.
Terza Lezione: il velenoso mascariamento è sempre in agguato nei confronti di chi combatte realmente la mafia. Quante illazioni, quanti depistaggi, quanti tentativi di sporcare la sua storia e la sua immagine! Anche Dalla Chiesa infatti ne fu vittima. Il figlio Nando ha dovuto scrivere un libro, “Delitto imperfetto”, per evitare che il mascariamento potesse attecchire e avere successo. Una lezione da non trascurare mai.
Siamo a quarant’anni da quella strage. Non dobbiamo dimenticare!