LA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO E’, INNANZITUTTO, LOTTA ALLE MULTINAZIONALI

di Vincenzo NOTARANGELO

Il vertice sul clima che si è da poco concluso a Sharm el-Sheikh  ha previsto un fondo per le perdite e i danni, ma non è riuscito a concordare un’azione più ambiziosa sulla riduzione delle emissioni climalteranti poiché il documento adottato manca dell’impegno concreto per un’uscita sicura e sostenibile dai combustibili fossili .

Il testo finale ricorda che per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali sono necessarie “riduzioni rapide, profonde e sostenute delle emissioni di gas serra” entro il 2030 ma  non è potuto seguire l’impegno all’eliminazione graduale dei combustibili fossili per il blocco dagli Stati produttori.

Secondo alcune stime le attuali promesse ridurranno le emissioni globali nel 2030 di un 5-10 per cento, mentre per limitare il riscaldamento della Terra a 1,5°C il calo delle emissioni al 2030 dovrebbe essere del 45 per cento. Questo gap ci pone in uno scenario di incremento delle temperature fra i 2,1 e 2,9°C che la Cop 27 non è stata in grado di colmare, essendosi limitata a invitare solo i Paesi che non hanno presentato nuovi impegni l’anno scorso ad aggiornarli entro il prossimo anno.

Pur riconoscendo l’urgenza della transizione verso le fonti rinnovabili poi non si assumo impegni adeguati a garantire questa transizione. La presenza ai negoziati di lobbisti dei combustibili fossili, insieme ai Paesi produttori di gas e petrolio  hanno rappresentato una zavorra che non ha consentito di raggiungere i risultati sperati.

Se ne deduce che la lotta al cambiamento climatico è, innanzitutto, lotta alle multinazionali.

Le multinazionali chiedono nuovi terreni per le coltivazioni e legno per le loro industrie, così il governo brasiliano di Bolsonaro ha consentito la deforestazione dell’Amazzonia, nel silenzio generale, facendo scomparire ogni anno migliaia di kmq di foresta amazzonica. Si spera che il nuovo presidente Lula inverta questa violenza contro il polmone verde del mondo.
I danni causati da una famiglia media italiana che usa raramente l’aereo, mangia un po più carne del necessario rispetto al fabbisogno medico o, che, infine si concede qualche altra piccola comodità (es. l’uso dell’auto quando potrebbe utilizzare i mezzi pubblici) sono infinitamente più piccoli e, certamente, non paragonabili agli effetti distruttivi della “globalizzazione” per effetto della quale il trasporto delle merci avviene più volte e su distanze enormi, il tutto per consentire al “capitale” di lucrare sulla differenza fra la vendita in occidente e la produzione in quei paesi dove gli stipendi sono bassi e gli standar di vita peggiori. Una tutela del clima che va a discapito dei poveri o del ceto medio non è né giusta né efficace, sebbene i comportamenti dei singoli sono utili e necessari per invertire la rotta.  In definitiva serve il c
ambiamento dei singoli ma anche e soprattutto del sistema. Non ci può essere l’uno senza l’altro perché abbiamo bisogno di entrambi per dirla con le parole di Greta Thunberg.

Ma il sacrificio chiesto ai singoli deve essere ricambiato dall’impegno di tutti gli altri attori: Stati, governi, istituzioni private, aziende e multinazionali.

La fase dei piccoli passi fatti nella direzione giusta ha ormai finito il suo tempo, bisogna correre se vogliamo vincere la sfida contro il cambiamento climatico. Bisogna agire senza indugio, in tutte le direzioni possibili: dalla salvaguardia della biodiversità al rispetto e all’aggiornamento degli impegni internazionali assunti per contrastare i cambiamenti climatici, passando per la “promozione dell’educazione ambientale” e della mobilità sostenibile.

È per questo che il giudizio sulla Cop 27 non può che essere negativo, incapace di investire per accelerare nella decarbonizzazione e per migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti già in atto.

La Cop27 finisce con essere un buon risultato solo per chi non vuole cambiare questo sistema di sviluppo che ci condanna alla crisi climatica, che è anche sociale ed economica. Essa colpirà in modo disomogeneo persone e luoghi portando ulteriori disuguaglianze e ingiustizie tra i popoli.

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