La Corte penale internazionale è un tribunale per crimini internazionali che ha sede a L’Aia, nei Paesi Bassi. La sua competenza è limitata ai crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, cioè il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (cosiddetti “crimina iuris gentium”), e di recente anche il crimine di aggressione(art. 5, par. 1, Statuto di Roma).
La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire se e solo se gli Stati non possono (o non vogliono) agire per punire crimini internazionali.
La Corte penale internazionale non è un organo dell’ONU e non va confusa con la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, anch’essa con sede a L’Aia. Ha però alcuni legami con le Nazioni Unite: ad esempio il Consiglio di sicurezza ha il potere di deferire alla Corte situazioni che altrimenti non sarebbero sotto la sua giurisdizione (art. 13 [b] Statuto di Roma).
Il nostro Paese, come membro della comunità internazionale e dell’Unione Europea, è anche membro fondatore della Corte Penale Internazionale. Berlusconi offrì ospitalità alla conferenza dalla quale è nato lo statuto di Roma, l’Italia fu la quarta a ratificare lo Statuto della Corte e ancora oggi è tra i primi Paesi a finanziare l’Aja. Ma negli anni il rapporto si è incrinato: prima il no all’arresto di Netanyahu, poi la scarcerazione del libico Almasri per il quale rischia la procedura d’infrazione. L’Italia ha il dovere umanitario di agire in ottemperanza al rispetto del diritto internazionale. Sono completamente inutili gli appelli generici alla pace e al rispetto dei diritti umani fondamentali: servono misure concrete. Come prima cosa è fondamentale sospendere la vendita di armi, come primo strumento per esercitare una forte pressione affinché cessino le guerre e tutte le operazioni di sterminio criminale che chiaramente violano i diritti umani. L’Italia dovrebbe applicare fortissime sanzioni contro tutti i governi che fanno politiche aggressive e criminali.
Solo attraverso serie e concrete azioni che siano decise e coerenti con i principi del diritto internazionale potremo sperare di frenare la guerra e l’incredibile spirale di violenza che sta travolgendo il Medio Oriente e molte nazioni africane. Inutile ricordare che se queste misure fossero state adottate in tempo, probabilmente non si sarebbe mai arrivati all’attuale catastrofe. Il diritto internazionale deve avere applicazione universale, esso è l’unico modo per garantire una pace duratura e una giustizia equa per tutte le popolazioni che oggi sono coinvolte e vittime di guerre, aggressioni e violenze. In questo contesto la Corte penale internazionale dovrebbe potere giudicare i responsabili e mandanti di tali crimini. Essa dovrebbe potere agire per punire tutti i crimini internazionali. Solo in questo modo si potrà avere in futuro il rispetto del diritto internazionale e dei diritti di tutte le persone nel mondo in modo equanime.
Incredibilmente il ministro degli esteri della Repubblica italiana proferisce queste assurde, infondate e vergognose parole: «Forse bisogna aprire un’inchiesta sulla Corte penale internazionale».
Probabilmente tutto nasce dalla richiesta più che giustificata dai fatti di incriminazione formulata dal procuratore Khan il 20 maggio 2024 per Netanyahu e Gallant, dove sono stati messi «sullo stesso piano», uguali davanti alla legge, come è avvenuto per i leader di Hamas, seguita dal mandato d’arresto del 21 novembre. Da allora la Corte penale internazionale sembra diventata il fuoco di una serie di attacchi concentrici: alle accuse scontate del governo israeliano e di quello americano hanno fatto eco governi europei, dichiarando o lasciando intendere che nei loro paesi il premier israeliano non sarà arrestato. E purtroppo ci sono i fatti: il rifiuto del nostro esecutivo di arrestare il torturatore e violentatore di bambini libico Almasri, riaccompagnato a Tripoli con un volo di Stato, e l’executive order con cui Trump minaccia il personale della Cpi e i loro famigliari di «conseguenze tangibili e significative».
Il comportamento del governo italiano è sconcertante per un Paese democratico costituzionale e rispettoso del diritto infatti con la mancata adesione al documento di protesta contro l’executive order di Trump sottoscritto da 79 paesi, compresi nazioni atlantiste inossidabili come il Regno Unito, Francia, Germania e i Paesi baltici, ci poniamo in assoluto isolamento dai nostri patner europei e fuori dal rispetto del diritto internazionale.
La Corte penale internazionale eredita il progetto di «Pace attraverso il diritto» e ha superato alcuni dei gravi limiti che ne hanno segnato le prime realizzazioni. Dopo la Seconda guerra mondiale i tribunali di Norimberga e di Tokio hanno infatti violato i principi fondamentali dell’irretroattività dell’azione penale e della terzietà. Dopo la Guerra fredda i tribunali internazionali ad hoc – in particolare quello per la ex-Jugoslavia – non hanno scongiurato l’accusa di continuare a incarnare la «giustizia dei vincitori», secondo l’espressione di Danilo Zolo.
Lo stesso Statuto di Roma è esposto a critiche, a cominciare dalla subordinazione al Consiglio di sicurezza e dall’obbligo di rispettare accordi bilaterali che esentino gli Stati dalla giurisdizione. E a lungo la Cpi ha di fatto perseguito solo crimini commessi in paesi africani, asiatici e dell’America latina. Anche nel caso della Palestina il timore che si riproponessero i doppi standard era giustificato dalle esitazioni a intraprendere le indagini, dalla limitazione dei fondi, dalle espressioni usate da Khan all’indomani del 7 ottobre. Poi è arrivata la svolta.
Com’è noto, l’amministrazione Clinton aveva sottoscritto il Trattato di Roma del 1998 e forse la Cpi poteva essere vista come una sorta di interfaccia giuridica presentabile della globalizzazione neoliberale, poi il progetto di New World Order – di egemonia imperale degli Usa – ha assunto caratteri più esplicitamente aggressivi con la guerra globale al terrorismo e l’attacco al diritto internazionale.
In questo fallimento hanno con tutta evidenza un ruolo decisivo Stati che non sono membri della Cpi. Gli Stati Uniti, Israele, Russia e Ucraina non sono membri della Cpi. Anche Cina e India non riconoscono la giurisdizione della Corte. Il tribunale è formato da 18 giudici, provenienti ciascuno da un Paese diverso, eletti dagli Stati membri: il mandato è di 9 anni non rinnovabili. La Corte rappresenta la speranza in un ordine internazionale pluralistico, che scongiuri una polarizzazione fra due fronti, una nuova guerra fredda sul punto di diventare calda, ha molto a che fare con i processi economici e gli equilibri geopolitici. Ma il diritto internazionale, e lo stesso diritto penale internazionale (la speranza di superare l’impunità per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, aggressione al di là dei doppi standard) svolgono una funzione rilevante. Il 21 novembre 2024 la Cpi ha forse assunto un nuovo ruolo ma in fondo a Tajani tutto questo non interessa. Ma di certo «La Cpi garantisce l’accertamento delle responsabilità per i crimini internazionali e dà voce alle vittime in tutto il mondo. Deve poter proseguire liberamente la lotta contro l’impunità globale. L’Europa sarà sempre a favore della giustizia e del rispetto del diritto internazionale». Lo scrive non un pacifista terzomondista ma la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
La reazione della stessa Cpi ribadisce la sua imparzialità: «La Corte penale internazionale condanna l’emanazione da parte degli Stati Uniti di un ordine esecutivo volto a imporre sanzioni ai propri funzionari e a danneggiare il loro lavoro giudiziario indipendente e imparziale».