CAMALEONTI  FIN  TROPPO  VISIBILI

di Nicola OCCHIONERO

Gli esami non finiscono mai, direbbe De Filippo osservando il Presidente Meloni in Parlamento, che neofita del ruolo, ha mostrato il lato più umano e normale di una quarantacinquenne prima donna nella storia repubblicana a presiedere un governo. Perdonata la gaffe imbarazzante nei riguardi dell’On. Soumahoro, il quale ha argomentato abilmente sull’errore di forma del “tu” in cui la “ruspante” Meloni è inciampata per poi apparire sinceramente dispiaciuta dell’errore.

Passato il primo giorno di scuola, si affronta il governo del Paese, primo tema da sviluppare: “Descrivi in che modo metteresti a tacere le zecche comuniste e drogate che ballano e pisciano nelle campagne italiane”; svolgimento: carcere da tre a sei anni per raduni pericolosi.   

Questa è la destra italiana, non un manipolo di ideologi fascisti, ma semplicemente una mediocre accozzaglia di visionari che attraverso decreti di questo tipo, generano confusione nei tribunali, in evidente contraddizione con i dettami costituzionali e con il codice penale che prevede già pene per eventuali singoli reati commessi (es. Art. 633 Codice Penale, R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398, per l’invasione di terreni o edifici altrui).

Sorprende la posizione espressa da La Russa sul “25 Aprile”, scontata e prevedibile, cosa ci si aspetta da un estimatore di Benito Mussolini? Che stappi una bottiglia di spumante in ricordo della fucilazione del suo capo? La destra, fa semplicemente la destra.

Cosa fa invece la sinistra (giornalisticamente intesa)? Il Pd organizza il suo congresso a macchia di leopardo, sono infatti rinviati al dopo voto per le regionali gli appuntamenti in Molise, Lazio, Lombardia e Friuli Venezia Giulia. Un fatto ragionevole in condizioni politiche ordinarie, ma dopo le elezioni politiche gli elettori del Pd e gli alleati di ventura, forse auspicavano un congresso di rilancio a breve termine in tutti i territori.

L’alleanza rosso-verde invece ha portato in Parlamento una novità importante, si pensa subito al sindacalista Soumahoro, ma non in quanto africano, infatti ricordiamo il ministro Cécile Kyenge nel primo Governo Letta, ma in quanto persona di sinistra (non a parole, almeno per il momento) che conosce le sofferenze derivanti dalla precarietà della vita dei migranti, tanto da potersi onorare di far risuonare alla Camera il nome di Giuseppe Di Vittorio.

I neo-progressisti del M5S hanno finalmente un capo politico: Giuseppe Conte. Conte è apparso inizialmente come un timido qualunquista che si adagia ad una posizione di comodo, ma dal secondo governo da lui capitanato, ha manifestato qualità nascoste che gli hanno consentito di arginare la perdita di consensi e di occupare strategicamente quello spazio a sinistra abbandonato dal Pd.

Cosa accade nel nostro Molise?

La destra è sicuramente soddisfatta del risultato politico, quattro su quattro i parlamentari eletti, inclusi gli onest’uomini Cesa (condannato per la vicenda ANAS-Prandini) e Lotito (arresto per appalti; “calciopoli”; aggiotaggio e ostacolo agli organi di vigilanza sui titoli del club bianco-celeste). Ovviamente i malumori dei non eletti e dei non candidati trovano sfogo nel disegno politico della prossima maggioranza (si presume) in Consiglio regionale, con tanto di incarichi di sottogoverno (come si suol dire). I fratellini d’Italia rivendicano ora il candidato alla presidenza, ed è cosa ovvia vista l’elezione dei parlamentari Lancellotta e Della Porta, mentre Toma finge di non essere stato presidente in questi anni e cerca di rifarsi una verginità politica, ma senza alcun successo; Forza Italia grida al tradimento dei sindaci alleati e la Lega mostra un volto ecologista, nel senso che scarica Toma e ricicla chiunque cerchi partito.

Sul fronte opposto? Il M5S è il primo partito, Conte ha attratto elettori di sinistra che probabilmente non avrebbero votato, infatti il movimento continua a godere di luce riflessa, non importa chi siano i candidati locali purché sia bene riconoscibile il simbolo. Tuttavia anche in Molise è stato impensabile replicare il successo elettorale delle passate politiche, ma appunto il dato non è preoccupante per i penta-stellati fino a quando si attestano un passo avanti il Pd.

Il Pd alle prese con un dibattito interno che è di dominio pubblico (tanto democratici da mostrare all’esterno le proprie debolezze) ispira la frase dantesca “Colui che vede un bisogno e aspetta che gli venga chiesto aiuto è scortese quanto colui che lo rifiuta.”. Facciolla è confermato capo del partito molisano dopo il voto della direzione regionale per il rinvio del congresso, ma sa bene che non sarà questo a garantirgli la candidatura alla presidenza della giunta regionale, per la verità anche l’antagonista Fanelli è consapevole che non sarà il Pd a dare le carte sul tavolo verde, tuttavia entrambi si contendono un qualcosa che non c’è o non ci sarà.

Perché tanta acredine? Lo spettacolo non è rassicurante per gli elettori che rischiano di accrescere le fila dell’astensione.

Entrambi i maggiori partiti dell’area neo-progressista sanno bene di non potere prescindere l’uno dall’altro se davvero vogliono tentare una dignitosa campagna elettorale e battere la destra, ma non riescono a superare limiti quasi concettuali. Succede tra i maggiorenti delle coalizioni, la storia politica italiana ci ricorda quando la DC favorì l’ascesa del PSI di Craxi alla presidenza del governo. La DC sopravvisse a molte tempeste quando condivise il peso del potere.

Una soluzione a questa situazione di stallo può essere offerta dal gruppo “rosso-verde-sinistra diffusa”, il quale è sostanzialmente equidistante dai due partiti maggiori, non ha retaggi che creerebbero divisione, al contrario presenta tutti i tratti necessari per favorire un’alleanza e sfidare la destra da una vera posizione di sinistra, infatti, di questi, nessun rappresentante ha preso parte alla Giunta Frattura, quindi i cinquestelle non opporrebbero alcunché, così come nessuna disfatta nel centro-sinistra è avvenuta per cause riconducibili alla sinistra, ma sempre per lotte intestine della parte moderata.

Siamo in un tempo in cui i camaleonti sono fin troppo visibili, non esistono più aree elettorali stabili e riconoscibili che supinamente accettano qualsiasi scelta politica purché della propria parte. Esistono invece elettori che vivono sulla propria persona e nucleo familiare i disagi di nuove forme di povertà, gli stessi si associano a coloro che poveri lo sono da troppo tempo, tanto da aver perso anche fiducia nelle istituzioni e nella politica.

Occorre radicalità per presentarsi alternativi e credibili rispetto all’amministrazione uscente. Radicalità da non confondere con le posizioni infantili dell’estremismo e con la demagogia da salotto. Radicalità come azione di vera trasformazione di usi, modi e programmi del fare politica.

Ad esempio, nel definire il perimetro politico entro cui costituire una coalizione, chi è disposto a rinunciare alle tentazioni dell’On. A. P. che individua nelle liste del moderatismo amorfo il limbo in cui fare candidare alcuni suoi sodali? Chi è convinto che è indispensabile salvaguardare e potenziare la sanità pubblica? Chi è disposto ad elaborare un piano per l’occupazione e lo sviluppo che passi anche attraverso una riforma dei consorzi industriali?

Se il M5S e il Pd riusciranno a cogliere e far proprio il concetto di cambiamento radicale, avranno lunghi anni di amministrazione regionale, cedendo un pezzetto del potere politico istituzionale in seno alla presidenza della giunta.

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