COS’È E DOV’È LA GIUSTIZIA IN DEMOCRAZIA?

di Adele FRARACCI

La Giustizia ha la sua centrale rilevanza perché piace essere felicemente ingenui, parola quest’ultima che in lingua latina indica i nati liberi,

e perché si può essere sempre giovani anche quando l’anagrafe registra altro, si sa che il concetto di giustizia si elabora concettualmente nell’età dell’adolescenza e tanti continuano a ruminarla mai paghi. Non ci addentriamo qui nel campo giuridico, cronologicamente alla Giustizia si è rivolta prima la Legge con i suoi tribunali, basti pensare a Solone, vibriamo, invece, in quello civile. Cosa è Giustizia? Risiede nelle Leggi che servono ai deboli per difendersi dai potenti, come dicono alcuni? O le Leggi sono usate dai potenti per fare i propri interessi e ciò si rivolta contro i deboli, come dicono altri? Pertanto, le Leggi offrono giustizia o no? Ma forse il senso di giustizia risiede innanzitutto nella coscienza individuale? O forse invece bisogna distinguere tra morale e etica, la prima come interiorità soggettiva, la seconda come coscienza collettiva, secondo la lezione hegeliana? La Giustizia risiede solo nella uguaglianza giuridica o invece bisogna ampliare alla giustizia sociale? Insomma, Giustizia è uguaglianza giuridica e è anche giustizia sociale? E se fosse uguaglianza anche sociale, essa è in accordo con la libertà? Potremmo continuare con l’elenco, ma ci fermiamo qui, sono solo semplici input per sostenere che la questione Giustizia val la pena sollevarla e indagarla a oltranza. Nello scorrere del tempo e della storia, stante alle domande poste e ruminate, si può riflettere oggi su un istituto che a cuore ha avuto proprio la Giustizia sociale, il welfare state. Sorto nel secondo dopoguerra, sembra indispensabile oggi rianimarlo, in linea con la nostra Carta Costituzionale, da attuare, in quanto esso appare ed è effettivamente stato la cerniera tra libertà e eguaglianza, grazie al principio di solidarietà che lo nutre. Sappiamo come la crisi economica degli anni Settanta abbia condotto a ripensare il welfare state, ma purtroppo il ripensamento si è risolto in una destrutturazione, via via al suo smantellamento sotto il fanatico culto del neoliberismo a partire dagli anni Ottanta. Un neoliberismo globalizzante, con i suoi orgiastici diktat. È così che la cattiva politica ha attentato alla sanità pubblica e non solo alla sanità, anche alla scuola e a altri comparti fondamentali. Tagli su tagli, prodotto della spending-review, hanno consegnato agli Italiani ora, ai tempi della sars covid 19, inconfutabilmente il conto. In sanità medici e infermieri insufficienti, macchinari vetusti, gare d’appalto al ribasso che hanno dato in cambio materiali scadenti, ospedali abbandonati, carenza di posti letto, mancanza di quanto serve per la pandemia, per più di un mese finanche mascherine e alcool disinfettante. Il covid è stato lo spauracchio che ha suonato da grancassa a tutto ciò che è stato tolto in questi lustri agli Italiani, a loro che pagano tasse salatissime per avere indietro un servizio fondamentale, quello alla salute, che assieme alla scuola, sospesa quanto i tribunali, è punto nevralgico dello stato di diritto sociale, detto in una parola della nostra democrazia. Sembra incredibile, ma il covid non fa che comprovare sul terreno concreto la mattanza che è stata fatta negli anni ai danni degli organi dello Stato sociale. L’idea è stata quella di valorizzare a discapito del welfare state, il welfare society?
Nell’ultimo periodo ricorderete: le battute del ministro Boccia sui maturandi, per il quale una volta conseguito il diploma i ragazzi avrebbero potuto essere impiegati per portare la spesa agli anziani e in altri servizi; le riflessioni dell’economista Zamagni, per il quale i giovani devono prestare il sevizio civile universale giacché ce ne sono ben 80.000 disposti a lavorare gratuitamente; il bando degli assistenti civici sotto il governo Conte 2, attraverso cui 60.000 persone avrebbero dovuto impegnarsi, con approssimazione inevitabile, in un “lavoro” poco o niente retribuito per vigilare sui cittadini poco accorti e supportarli nell’esercizio responsabile della loro personale libertà evitando gli assembramenti. Si tratta di imbarazzanti parole e inverosimili iniziative attraverso cui, appunto, si vuole mettere sempre più a regime il welfare society, che prevede che sia l’intera società, e non solo lo Stato, a farsi carico delle situazioni di bisogno? Finanche in materia di ordine pubblico? E nel caso così fosse, a basso prezzo, anzi a prezzi stracciati, secondo la “tradizione” della macelleria sociale neoliberista e della precarietà avallata dallo stesso Jobs act renziano, che ha ucciso lo Statuto dei lavoratori, illo tempore tipico prodotto del welfare state. Un welfare society composto da tre sfere: Stato e enti pubblici, imprese (che qui da noi coincidono di fatto con Confindustria), terzo settore fatto di associazionismo. Zamagni identifica quest’ultimo come società civile organizzata. Sembra un’ottima definizione. Ma è altrettanto opportuno articolare delle domande, squisitamente retoriche: tra le tre sfere del welfare society, quale risulta la più forte? Nel caso di alleanze, quali sfere facilmente potrebbero trovare un accordo? Tutte le associazioni hanno lo stesso peso? Le associazioni sono nel loro settore tutte in sinergia e spirito collaborativo?
Il covid 19 può essere utilizzato oggi dai “potentes” come additivo per accelerare queste tesi, si dovrebbe, invece, saper cogliere l’incongruenza e la perniciosità di siffatti “canovacci di lavoro e di tesi”. Ripensare il welfare state, senza stravolgerlo, e dare al contempo onore e oneri al variegato mondo delle Associazioni, valorizzandolo nell’ impegno e nei contributi concreti che può senz’altro offrire, è un dovere. E conviene a noi tutti, a noi cittadini, consapevoli che il welfare state è la risposta alla domanda del titolo, è ciò che difende e può valorizzare la Giustizia sociale, la ridistribuzione delle ricchezze e delle competenze, il senso e l’azione autentici della democrazia.

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