A cento anni dal colpo di Stato di Mussolini con cui si abbatteva lo Stato liberale, il governo Meloni dopo aver ridisegnato alcuni ministeri in nome del “merito” approva nel suo primo cdm una norma penale contro i rave party che pare più una restrizione del diritto di manifestare.
Nelle prossime settimane toccherà ai percettori del reddito di cittadinanza ed ai migranti, poi sarà la volta dei territori con l’autonomia differenziata, delle donne con il diritto all’aborto o dei lavoratori malpagati a cui sarà negato il salario minimo.
È così che le disuguaglianze vengono create, occultate dapprima e poi accettate dai più.
Ma per esistere le disuguaglianze hanno bisogno di “miti fondativi e giustificativi”.
Questi miti poggiano su processi psico-sociali che fanno apparire come giuste le disparità in quanto legittime asimmetrie e sperequazioni legate allo status dei singoli o dei gruppi sociali.
È in particolare nei momenti di crisi economica che si verifica un aumento della conflittualità sociale con aumento di processi di emarginazione, discriminazione nei confronti degli svantaggiati. L’antisemitismo fu la reazione alla crisi economica che colpì la repubblica di Weimar, come oggi lo è il pregiudizio etnico fra coloro che attribuiscono la crisi agli immigrati o la prevenzione nei confronti degli asiatici dell’estremo oriente, avvertiti come una minaccia economica.
Ma quali sono le ragioni psicologiche e psico-sociali che finiscono per legittimare le disuguaglianze anche da parte di chi le subisce?
In genere il potere e i privilegi dei gruppi sociali elevati sono presentati come necessari ad un ordine sociale di cui godono anche i meno favoriti, i quali accettano il ruolo ritagliato per loro sia perché beneficiari dell’assistenza sia per evitare di essere marchiati come ingrati.
Naturalmente gli stereotipi ed i pregiudizi fanno la loro parte: i poveri sono sfaticati, i ricchi hanno meritato i loro averi, gli uomini comandano perché razionali e forti a differenza delle donne emotive e deboli di natura ecc. In questo contesto la “credenza del merito” quale ascensore sociale dà legittimità al sistema.
In un periodo in cui si afferma la fine delle ideologie, avremo bisogno che alla credenza del merito si sostituisse una “ideologia della giustizia sociale” che ricrei legami fra gli svantaggiati ed eviti la stupida guerra fra gli ultimi ed i penultimi della nostra società.
Abbiamo necessità di risaldare i legami sociali, valorizzare i beni comuni, riscoprire il valore della condivisione; insomma, abbiamo bisogno di una prospettiva inclusiva e riparativa delle disuguaglianze.
Tuttavia, dalle sue prime mosse, non sembra che il nuovo governo intenda perseguire tali finalità ed anzi, invocando il merito, pare rincorrere quei miti giustificativi delle disparità che fanno divampare le diseguaglianze.
L’auspicio è che non si imbocchi la strada della democratura ma prevalga la politica dell’inclusione sociale.