È RICHIESTO UN RESET DI SISTEMA NELL’ITALIA DEL DOPO TRUMP (Parte VII)

di Gianni PRINCIPE

Nell’urgenza dei problemi, con un quadro politico inadeguato, non si può che puntare ad esercitare pressione su chi decide. Ma la seconda conclusione da trarre è che occorre compiere il massimo sforzo per ridurre la distanza tra cittadini e politica. Partendo dalla selezione dei rappresentanti, quindi dalla legge elettorale, da cui si fa di tutto per allontanare l’attenzione dei cittadini.

Se poniamo a confronto le sfide che dobbiamo affrontare con il quadro offerto dalla dialettica parlamentare e con la mancanza di solide basi politiche per l’attività di governo, non possiamo che puntare, come unico terreno di iniziativa, su una mobilitazione per esercitare pressione direttamente sul governo, come ci stiamo orientando a fare: ma con un rischio inevitabile di corporativizzazione e con un’esaltazione dell’eclettismo. Sapendo dunque che non basta per realizzare la discontinuità di cui abbiamo bisogno, che deve avere alle spalle un indirizzo forte e univoco.
Arriviamo così alla seconda, più spinosa, conclusione. Non è rinviabile una radicale inversione di rotta sul terreno del rapporto tra cittadini e politica. Si dovrebbe dare attuazione all’articolo 49 della Costituzione restituendo infine ai cittadini il potere di “concorrere a determinare la politica nazionale” attraverso i partiti (ora sottratti a qualunque controllo democratico): ma sono richiesti tempi molto più stretti. Il primo passo, la cui urgenza è dettata dalla situazione che si è creata, deve essere l’introduzione di una legge elettorale che sottragga ai partiti il potere di condizionare, entro un solco preordinato dai loro apparati burocratici, la scelta dei rappresentanti da parte degli elettori.
Su questo terreno l’iniziativa latita, appare paralizzata (anche se subirà una inevitabile accelerazione all’approssimarsi della fine della legislatura). Quel che più preoccupa, al di là di questo, è la neghittosa indifferenza con cui la questione è vissuta dai cittadini, ormai mitridatizzati. A questo bisogna reagire. Anche perché l’unica proposta in campo, pur lontana dal raccogliere i consensi necessari, è la perpetuazione sotto mentite spoglie del sistema elettorale attuale, la cui deformità è apparsa chiara alla prova dei fatti, e ulteriormente accentuata dalla riduzione dei parlamentari.
Stupisce dover motivare questo giudizio e sembra quasi di offendere l’intelligenza dei lettori, eppure ben poche voci si levano a mostrare che il re è nudo. Dovrebbe tuttavia essere evidente: limitare i collegi ai soli “plurinominali” abolendo gli uninominali; confermare le pluricandidature e il no alle preferenze; in più, innalzare la soglia dal 3% al 5%. Così facendo, non solo non cambia l’effetto maggioritario ma lo si amplia e si accentua la stretta sul cosiddetto diritto di tribuna per le formazioni minori. Quindi, si va in direzione esattamente opposta a quella invocata dai fautori del sistema proporzionale.
Aggiungiamo pure che limitare la correzione al solo abbassamento della soglia (al 4%? al 3%?) non cambierebbe la sostanza: solo, lascerebbe anche a qualche mini-apparato la possibilità di tentare l’avventura. E che collegare l’abbassamento della soglia a un’eventuale riesumazione delle coalizioni ci riporterebbe esattamente al Rosatellum, se non a un meccanismo ancora più condizionato dagli apparati. Con il risultato scontato (almeno fino a bocciatura della Consulta, “a babbo morto”) di un ulteriore calo, sicuramente sotto il 50%, della partecipazione al voto.

Autore

  • Giovanni Principe, detto Gianni, dirigente storico della Cgil, laureato in Architettura ed Economia del territorio, opinionista ed autore di varie pubblicazioni. Da 40 anni al lavoro, su economia e politiche del lavoro (Ispe, Cgil, Isam, Isae, Isfol). Impegnato per cambiare le cose; è il modo giusto di vederle.

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