IL FUTURO DELL’ITALIA COLLOCATO IN UN QUADRO GLOBALE

di Gianni PRINCIPE

Che cosa succede in Italia? Quanto può insegnarci a proposito dell’incerto futuro della democrazia nel mondo globalizzato?

Queste domande, che fuori dall’Italia aleggiano tra gli osservatori più attenti, all’interno non destano molta attenzione. La sola eccezione si è registrata con la reazione piccata di alcuni dei maggiori quotidiani (ripresa nei talk show) quando, a fine luglio, il NYT ha ospitato un editoriale di David Broder di “Jacobin” dal titolo “Il futuro è l’Italia. Ed è tetro”.

In settembre si terranno elezioni anticipate dopo le dimissioni, che sembravano inimmaginabili, di Mario Draghi, ma il dibattito verte su questioni di respiro più casalingo. Per dire: come rendere compatibili con la lista PD, schierata sulla “agenda Draghi” nel solco dell’iper-liberismo, una lista apertamente di destra (data dai sondaggi al 6%) ed una rosso-verde ecologista-di-sinistra (data al 5,5%) per avere qualche chance di vittoria su una destra, favorita dai sondaggi, capeggiata dal partito erede del partito degli eredi del fascismo?

1. Per comprendere il senso del dibattito politico italiano servirebbe una buona dose di technicalities sulla legge elettorale oggi vigente in Italia. Basterà dire che è stata concepita con marchingegni assai complicati negli ultimi giorni prima delle precedenti elezioni, su input di Matteo Renzi, con il preciso obiettivo di impedire la vittoria sia della destra che della sinistra e imporre così un governo “di larghe intese” o “di unità nazionale” (secondo i gusti lessicali).

Il progetto, per quanto ben congegnato, non andò in porto perché un terzo partito, fuori dalle due coalizioni (i 5stelle fondati dal comico Beppe Grillo), arrivò ad essere il più votato, mentre nella coalizione di destra prese più voti, anziché il partito considerato più moderato (quello di Berlusconi, in quanto aderente ai Popolari Europei guidati da Frau Merkel), la Lega di Salvini. Un partito anti-EU, in nome della identità nazionale dei popoli europei che l’invasione dei migranti starebbe minacciando, già condannato per aver sottratto un centinaio di milioni di euro allo Stato per finanziamento illecito e indagato per aver cerato nuovi finanziamenti occulti dalle parti del Cremlino.

Nell’impasse che si era creata, la soluzione escogitata, di nuovo da Renzi, fu di affidare il governo ai due partiti considerati anti-sistema, in modo che, messi difronte a una tale prova, perdessero rapidamente i consensi ottenuti con la protesta. Senonché, la coalizione anomala entra effettivamente in crisi dopo un anno ma, smentendo ancora una volta i calcoli degli strateghi dell’establishment, nel frattempo la Lega era balzata in testa ai sondaggi, grazie all’azione su cui si era concentrato Salvini, come Ministro degli Interni: disporre la chiusura dei porti, a dispetto della legge che non lo consentiva. Mentre a pagare per le promesse mancate erano i Cinquestelle, che pure avevano introdotto, timidamente per la coabitazione con la Lega, misure, in materia sociale e ambientale, che in teoria dovevano appartenere alla sinistra (reddito di base, limiti ai contratti precari, repressione della corruzione, incentivi alle fonti rinnovabili).

A quel punto, pur di non andare a votare, con il rischio di un en plein da parte della Lega, il solito Renzi escogita la soluzione di un governo tra Cinquestelle e PD, di cui avrebbe fatto parte il gruppo parlamentare (di ex PD) che aveva costituito dopo essersi dimesso da segretario per la sconfitta elettorale. In questo modo avrebbe avuto i numeri per staccare la spina e mandarlo a casa appena Salvini, ridimensionato nei sondaggi una volta lontano dal potere, avesse rinunciato all’idea del voto.

2. L’arrivo della pandemia ha sconvolto di nuovo i piani ben congegnati. Il nuovo governo guadagnava consensi grazie a una politica di restrizioni severe e di trasparenza nei confronti della popolazione, a dispetto di una stampa (per il 90% in mano alle maggiori imprese del paese) ossessivamente impegnata a denigrarlo. Quando però, nell’estate del 2020, il governo chiude la trattativa con l’EU ottenendo la massima quota di finanziamenti a fondo perduto nell’intera UE e allo stesso tempo si registra la scomparsa dei contagi, si scatena l’offensiva di stampa per preparare le condizioni per l’uscita della formazione di Renzi dalla maggioranza, come programmato.

In mancanza di argomenti migliori, la campagna si concentra sulla contestazione delle nuove restrizioni decise dal governo in vista della seconda ondata che gli esperti avevano preconizzato. Il risultato è stato che la seconda ondata è arrivata e ha fatto molte più vittime della precedente, che pure aveva colto impreparata l’Italia in quanto primo paese colpito, dopo la Cina. Renzi ritira infine i suoi parlamentari, il governo a quel punto ha la maggioranza relativa e non più quella assoluta e dopo vari tentennamenti decide di arrendersi. Attorno al nome, internazionalmente affermato, di Mario Draghi si formava così il sospirato governo di unità nazionale. Solo il partito, fin lì il più piccolo, di estrema destra, erede degli eredi del fascismo, restava all’opposizione (e, da allora, cresceva nei sondaggi fino ad essere al momento, come detto, il primo nelle intenzioni di voto).

Per capire se hanno ragione quanti si preoccupano di ciò che accade in Italia (senza che gli italiani se ne preoccupino granché) occorre dunque darsi una spiegazione del perché il Partito Democratico (che in teoria dovrebbe essere l’espressione in Italia della cultura democratica) abbia abbandonato ogni velleità di realizzare un programma alternativo – in campo sociale, ambientale e quanto al futuro delle relazioni internazionali nel pianeta – rispetto a quello perseguito dall’establishment liberista dalla fine della guerra fredda.

Quel programma, che ha al centro l’idea di una politica guidata dal mercato, va in direzione opposta a quella che, nel periodo “aureo” successivo alla Seconda Guerra Mondiale, puntava su una politica in grado di indirizzare il mercato per poter raggiungere gli obiettivi, di rango prevalente, che le potenze vincitrici si erano date con la Dichiarazione Universale posta alla base della nascita dell’ONU. Una dichiarazione che, aveva fatto sperare in un nuovo assetto globale e in uno sviluppo attento ai diritti delle persone su basi di uguaglianza e all’equilibrio tra l’impronta della nostra specie e la riproduzione dei caratteri fondamentali che ci permettono di essere ospitati da questo pianeta.

3. Andando indietro nel tempo, la particolarità dell’Italia, che dovrebbe preoccuparci in un’ottica di salvaguardia delle basi della democrazia, sta proprio nel fatto che uscendo dalla Seconda Guerra Mondiale il paese è stato vincolato a un assetto politico privo di alternativa. In quella fase pesava la divisione del mondo in blocchi e la circostanza per cui il maggiore partito di opposizione manteneva legami, parte ideali, parte finanziari, con la potenza rivale del blocco cui il paese apparteneva (e a cui era stato assegnato dai vincitori). Il prezzo pagato per quella limitazione di sovranità è stato assai salato: dalla corruzione, che gravava sull’efficacia dell’apparato pubblico, alla compromissione con le grandi organizzazioni criminali, fino a quella che è stata definita una “guerra civile a bassa intensità”, negli anni delle stragi e degli attentati sanguinosi, con un ruolo attivo di settori dello stato.

Quando, dopo il 1989, le ragioni della divisione del mondo in blocchi sono venute meno, un vasto coacervo di interessi formatosi al riparo della democrazia bloccata, si è messo al lavoro per ricostruire le condizioni di monopolio del potere di cui avevano goduto i frutti. Per tutta una prima fase Berlusconi è stato il leader del fronte che mirava a quell’obiettivo ma la sua storia personale e la fragilità dell’apparato che aveva costruito mostravano crepe evidenti. Con la crisi del 2008, coincisa con il ritorno di Berlusconi al potere per la terza volta l’Italia si è trovata in pessime condizioni e si è imposta la soluzione del governo di unità nazionale. Dal 2012 alle elezioni del 2018 destra e sinistra hanno governato insieme ininterrottamente. Quanto avvenuto alla fine del 2020 non è che il ritorno a quell’assetto, dopo il biennio “anomalo”. Le elezioni in programma puntano a quel risultato.

4. C’è una stretta correlazione tra la storia politica dell’Italia, con il suo deficit di democrazia dovuto alla mancanza di una contesa tra programmi alternativi, e il disastroso andamento economico-sociale. Le disuguaglianze sono aumentate drammaticamente insieme alla povertà, sia assoluta che relativa, alla disoccupazione e ad un’elevata quota di lavoratori poveri. Mentre il PIL non ha ancora raggiunto le cifre del 2009 e le retribuzioni, unico Paese del G20, sono addirittura diminuite. Se per caso qualcuno, poi, dovesse pensare che il cosiddetto (per il 90% della stampa) “Governo dei Migliori” ha minimamente invertito queste tendenze nei suoi 18 mesi di vita, le statistiche dicono il contrario E basta un semplice sguardo alle misure adottate (ea quelle sprezzantemente respinte) per fotografare con grande precisione l’orientamento che ha dominato nella sua attività, come si poteva facilmente prevedere.

L’astensione alle elezioni politiche, che in passato è rimasta su livelli intorno al 20%, è ora prevista almeno del 50%. L’establishment, che si scaglia contro la destra “sovranista”, per gran parte della popolazione non fa meno paura dell’alternativa che evocano come l’inferno.

Per chi considera la democrazia il meno imperfetto di tutti i sistemi politici, il quadro offerto dall’Italia, e le sue prospettive, dà l’idea che non c’è un unico abisso in cui la democrazia corre il rischio di precipitare. Forse l’Italia non è “il” (solo) futuro: ma ci mostra che le minacce non provengono esclusivamente da Putin o da Trump. Anche funzionari dell’alta finanza in grisaglie, insieme a eroi della new economy che vestono casual, possono scavare una buca in cui farci sprofondare.

Autore

  • Gianni PRINCIPE

    Giovanni Principe, detto Gianni, dirigente storico della Cgil, laureato in Architettura ed Economia del territorio, opinionista ed autore di varie pubblicazioni. Da 40 anni al lavoro, su economia e politiche del lavoro (Ispe, Cgil, Isam, Isae, Isfol). Impegnato per cambiare le cose; è il modo giusto di vederle.

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