I limiti dell’esperienza del socialismo reale vanno ricercati nella natura dell’uomo che, a differenza degli animali sociali, resta un animale individualista che solo per opportunità sceglie di vivere in forme sociali. Per questo essere individualista resta centrale il proprio punto di vista personale che lo orienta nelle scelte del quotidiano.
Il disoccupato che ottiene un lavoro dopo averlo questuato al datore riterrà corretto cambiarlo per un’altra opportunità di lavoro con salario più alto non appena essa si verifica, tuttavia il datore di lavoro abbandonato potrebbe ritenere dal suo punto di vista quel comportamento a dir poco scorretto. Insomma la parzialità fa parte della natura umana ed è una realtà.
Il problema affrontato da vari autori, penso a Nagel che a sua volta si rifà a Scanlon, trova nell’imparzialità dei comportamenti il suo naturale contemperamento. Si tratta di una imparzialità “universalizzante” e non utilitaristica, ovvero la scelta è imparziale quando mettendoci nei panni dell’altro resti accettabile.
L’eguaglianza e l’imparzialità diventano indissolubili poiché una decisione distributiva non è parziale e diseguale solo quando non può essere ragionevolmente respinta come base di un accordo sociale raggiungendo la convergenza delle diverse prospettive personali nel rispetto del principio universalizzante.
L’idea che all’eguaglianza possa sostituirsi il “sufficentismo” del “minimo garantito”, ovvero di meccanismi di redistribuzione che assegnano un minimo di risorse a tutti, può essere ragionevolmente respinta dai membri più svantaggiati della società.
Infatti dovremmo ritenere come “naturali” i possessi e le maggiori opportunità delle persone più ricche per cui sarebbe “normale” che i poveri facciano dei sacrifici maggiori; tesi che non può essere ragionevolmente sostenuta da parte dei membri più ricchi della società.