IN ITALIA LA POLITICA SA TAGLIARE SOLO LO STATO SOCIALE E I SALARI DEI LAVORATORI PIÙ POVERI, LO CONFERMA L’UNIONE EUROPEA

di Michele BLANCO

Pubblicato il nuovo rapporto sullo stato dell’occupazione effettiva e del lavoro nell’Unione Europea, redatto congiuntamente dalla Commissione e dal Consiglio europei. Questo documento contiene anche precise analisi e aggiornati commenti sulle politiche effettivamente intraprese dai vari governi nazionali dell’Unione Europea in materia di lavoro e protezione sociale. Per l’appunto, quest’anno, il Governo italiano della Meloni è stato esplicitamente rimproverato e redarguito in quanto le politiche di contrasto alla povertà chiaramente non hanno prodotto nessun effetto positivo, anzi, le cose sono peggiorate.

I problemi maggiori riguardano innanzitutto il tasso di occupazione effettivo, legato all’occupazione per periodi lunghi, e il reddito pro-capite. Oltre a non raggiungere, entrambi, livelli adeguati in linea con gli standard comunitari, il tasso d’occupazione presenta anche crescenti disparità di genere mentre la distribuzione del reddito, invece, è fortemente caratterizzata da crescenti disparità territoriali su base regionale. Quindi aspettiamoci il peggio se nella malagurata idea che l’autonomia differenziata diventi legge effettiva dello Stato e nel caso in cui venissero istituite, come proposto da alcune componenti del governo, le “gabbie salariali”.

Per quanto riguarda il welfare state italiano, gli organismi europei sottolineano e fanno notare le marcate difficoltà sul piano della protezione e dell’inclusione sociale, in particolare per via della scarsezza, sia numericamente che per valore economico, quindi della poca efficacia dei sussidi statali. Su questo punto infatti è necessario mettere in evidenza alcune peculiarità tutte italiane.

Il sistema previdenziale pubblico viene, costantemente, consapevolmente e progressivamente, demolito a partire fin dai primissimi anni ’90 del secolo scorso, minando in maniera devastante l’efficacia del sistema di protezione sociale dello Stato. La classe dirigente italiana pensava – e pensa ancora oggi – di cancellare il nostro modello di stato sociale adottando quello anglosassone, basato sull’erogazione di “sussidi”, slegati dall’attività lavorativa, come i vari bonus promulgati dai governi di destra e “sinistra”, se si possono chiamare cosi governi che aboliscono l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, possono essere intesi in questo senso. L’inefficacia di questo nuovo, presunto, sistema dei sussidi è stata messa in discussione dalla stessa Unione Europea. Oggi sembra del tutto evidente l’opportunità di un cambiamento radicale del sistema di welfare state nel documento citato si riconosce indiscutibilmente come le pensioni siano l’unica forma di sussidio in grado di ridurre la povertà: «l’impatto dei trasferimenti sociali (escluse le pensioni) sulla riduzione della povertà rimane ben al di sotto della media dell’UE», European Commission, Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion, Joint Employment Report 2024 – Commission proposal, Publications Office of the European Union, 2023, https://data.europa.eu/doi/10.2767/17157, p. 120.

L’abbandono del Reddito di Cittadinanza ha fatto danni incredibili e aumentato la povertà delle persone.

Secondo gli esperti dell’Ue l’Assegno di Inclusione ha incrementato significativamente la povertà assoluta e infantile (rispettivamente di 0,8 e 0,5 punti percentuali) rispetto al regime precedente, che era quello del Reddito di Cittadinanza. Il Governo attuale lo ha abolito per sostituirlo con uno strumento simile, per l’appunto denominato Assegno di Inclusione, Istituito col D.L. 48/2023, destinato però a una platea assolutamente molto più ridotta rispetto a quella del RdC. Inoltre comporta obblighi di lavoro (generalmente “povero”) molto più stringenti, che costringono i percettori ad accettare lavori malpagati, e l’assegno ammonta a poco più della metà del vecchio sussidio.

Altra problematica rilevata dal rapporto dell’Ue concerne la politica salariale: la precarietà e la deregolamentazione continua del lavoro, da un lato, e dall’altro le quote stipendiali legate al miglioramento della produttività, che in realtà non cresce per nulla, stanno determinando un grave ecostante impoverimento di larghe fasce di lavoratori. Nel documento, infatti, si legge che «la povertà lavorativa è elevata [ed è] legata in particolare agli alti tassi di occupazione non standard», mentre «un reddito familiare disponibile lordo pro capite relativamente basso, [è] in parte dovuto a un reddito strutturalmente basso e salari legati alla debole crescita della produttività del paese», in European Commission, Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion, op. cit., p. 120.

In un recente studio della Cgil, di Nicolò Giangrande, La questione salariale in Italia. Un’analisi sulle cause dei bassi salari, CGIL, 7 Marzo 2024, parla di 5,7 milioni di dipendenti che guadagnano in media meno di 11.000€ lordi annui in Italia, nonché di Ccnl che prevedono una retribuzione oraria anche di soli 5 o 6 €. Il salario medio, del resto, da noi si attesta sui 31.500 € lordi annui, mentre in Germania è di 45.500 e in Francia di 41.700. Purtroppo tutto questo non porta il Governo a istituire un salario minimo, a tutela proprio di quei milioni di lavoratori meno abbienti e dei loro famigliari.

Un Governo, che senza alcun dubbio, opera in continuità con i precedenti, con una politica di bassi salari che veniva perpetrata, da molti anni, anche in passato e in effetti, stando ai dati Ocse, il nostro paese è il solo nella Ue ad aver registrato una grave erosione continua del potere di acquisto negli ultimi decenni. Tra le nazioni civili siamo l’unico Stato dove per essere competitivi si preferisce ridurre i costi a carico delle aziende, il costo delle retribuzioni dei lavoratori in primis, piuttosto che puntare su investimenti e innovazioni.

Autore

  • Michele BLANCO

    Michele BLANCO. Dottore di ricerca in “Diritti dell’uomo e Diritti fondamentali. Teorie, etiche e simboliche della cittadinanza” presso la facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. Tra i suoi saggi più rilevanti si ricordano: “La vera ragione dei diritti umani e la democrazia partecipativa come premessa al reciproco riconoscimento tra i popoli” (2006), “Democrazia deliberativa ed opinione pubblica emancipata” (2008), “Cosmopolitismo e diritti fondamentali” (2008), “Diritti e diseguaglianze. La crisi dello stato nazionale e al contempo dello stato sociale” (2017), “Nota critica a Thomas Piketty, Capitale e ideologia” (2021) “Nota critica a Katharina Pistor , Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza”, 2021. “Recensione critica a Thomas Piketty, Una breve storia dell’uguaglianza”  2021.

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