INGIUSTIZIE E DISUGUAGLIANZE DEL SISTEMA FISCALE

di Michele BLANCO

Nel mondo contemporaneo, come riportato da “Il Manifesto”, del 26 luglio 2024, ci avverte il policy advisor di Oxfam Italia Misha Maslennikov: «La ricchezza dell’1% più facoltoso del pianeta è cresciuta di 42 mila miliardi di dollari negli ultimi 10 anni, ma le tasse per i più ricchi sono ai minimi storici. Dipende dalla volontà politica dei governi del G20, ma non è possibile mantenere le ingiustizie». In Italia, aumentano le disuguaglianze: l’1% più ricco in proporzione paga sempre meno tasse del restante 99% dei contribuenti.

Le disuguaglianze dei redditi italiani sono inesorabilmente cresciute a favore dell’1% più ricco che, in proporzione, paga meno tasse rispetto al restante 99% dei contribuenti. Lo dimostra uno studio congiunto di Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Università di Milano-Bicocca, pubblicato a gennaio 2024 dalla rivista scientifica Journal of the European Economic Association.

Nel suo complesso, il sistema fiscale italiano appare solo “blandamente progressivo” invece che “progressivo” come prevede l’articolo 53 della Costituzione italiana che sostiene esplicitamente: l’imposta che i cittadini, anche apolidi e stranieri, sono tenuti a versare è proporzionale all’aumentare della loro possibilità economica. In altre parole, l’imposta cresce con il crescere del reddito. Ma, come sottolineano ricercatrici e ricercatori in questo studio, l’imposta “diventa addirittura regressivo” per il 5% degli italiani più ricchi e abbienti, che pagano un’aliquota effettiva inferiore al 95% dei contribuenti. Lo studio ha inoltre confermato che esistono importanti differenze in relazione alla tipologia di reddito prevalente: sono i lavoratori dipendenti a pagare assolutamente più imposte, seguiti dai lavoratori autonomi, dai pensionati e, infine, da chi percepisce soprattutto rendite finanziarie che pagano aliquote molto basse.

«Questo lavoro – commenta Demetrio Guzzardi, autore dello studio e ricercatore in Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – combina diverse fonti di dati, quali dichiarazioni dei redditi, indagini campionarie di Istat e Banca d’Italia, stime sulla distribuzione del patrimonio netto, per distribuire a livello individuale l’intero “reddito nazionale netto”, corretto per l’evasione fiscale. Così è stato possibile identificare le fasce di reddito che hanno perso di più negli ultimi anni». Questi seri studiosi e ricercatori hanno infatti stimato che dal 2004 al 2015, mentre il reddito nazionale reale si riduceva del 15%, il 50% più povero degli italiani subiva la maggiore perdita di reddito con un calo di circa il 30%.

Inoltre all’interno del 50% più povero, ad essere più colpiti sono giovani tra i 18 e i 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito. La disuguaglianza di genere risulta significativa per ogni classe di reddito e raggiunge valori estremi nell’1% più ricco della distribuzione, dove le donne guadagnano circa la metà degli uomini.

Lo studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università di Milano-Bicocca mostra che il 50% più povero degli italiani maggiorenni detiene meno del 17% del reddito nazionale e vive con meno di 13 mila euro all’anno. Invece, sottolinea Elisa Palagi, autrice dello studio e ricercatrice di Economia alla Scuola Superiore Sant’Anna «l’1% più ricco del Paese detiene circa il 12% del reddito nazionale, cioè una media di 310 mila euro all’anno, ottenuti soprattutto da redditi finanziari, profitti societari e redditi da lavoro autonomo, in gran parte derivante dal ruolo di amministratori societari. Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie ai redditi da lavoro dipendente». In particolare, i 50 mila italiani che compongono lo 0.1% più ricco del Paese detengono il 4.5% del reddito nazionale con entrate medie molto superiori al milione di euro annuo, cifra che potrebbe essere raggiunta dalle persone che compongono il 50% più povero degli italiani soltanto risparmiando, senza spendere mai un centesimo, dell’intero reddito per 76 anni.

Lo studio mette a confronto anche la concentrazione dei redditi dell’Italia a livello internazionale. Paragonando le stime ottenute da ricerche analoghe condotte per Stati Uniti e Francia, si è riscontrato che l’Italia presenta un livello di concentrazione dei redditi simile a quello della Francia, a loro volta paesi lontani dall’estrema concentrazione osservata negli Stati Uniti. Tuttavia, ciò che – leggendo lo studio – desta molta preoccupazione è il trend in diminuzione della quota di reddito detenuta dalle fasce di reddito meno abbienti, come sottolineato da Alessandro Santoro, autore dello studio e pro-rettore al Bilancio dell’Università di Milano-Bicocca. «A differenza della situazione in Francia, dove le fasce più deboli hanno visto un modesto aumento della loro quota di reddito in Italia si osserva l’opposto, con le fasce più povere che diventano sempre più svantaggiate» e quindi con meno reddito disponibile.

Oltre a studiare la distribuzione dell’intero reddito nazionale, lo studio ricostruisce a livello individuale anche l’ammontare delle tasse e imposte raccolte dallo Stato (Irpef, Irap, Imu, imposte sugli interessi, dividendi e tutte le transazioni finanziarie, imposte sui consumi, contributi sociali, oltre ad ulteriori imposte minori). «In questo modo – commenta Andrea Roventini, autore dello studio, direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna – abbiamo dimostrato che l’intero sistema fiscale italiano è solo molto blandamente progressivo per il 95% più basso della distribuzione del reddito, con un’imposizione fiscale che sale dal 40% al 50%. Il sistema diventa addirittura regressivo per il 5% dei contribuenti più ricchi con un’aliquota effettiva che scende fino al 36% per chi guadagna oltre i 500 mila euro annui. Il sistema fiscale è addirittura sempre regressivo se si considera la distribuzione del patrimonio invece che quella del reddito».

La minore incidenza fiscale per i redditi più elevati è spiegata principalmente da fattori come l’effettiva regressività dell’Iva (che grava meno sui cittadini abbienti che risparmiano di più; dal minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100 mila euro; dalla maggiore rilevanza per i contribuenti più ricchi delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari, tassati con un’aliquota irrisoria del 12% o del 26%.

In conclusione, questo studio ha messo in luce la necessità di avviare una profonda e seria discussione sullo stato attuale del sistema fiscale italiano. L’evidenza di una regressività che favorisce solo le fasce di reddito più elevate, secondo tutte le autrici e gli autori dello studio, si sottolinea l’urgenza di riforme vere e mirate che non penalizzino più i redditi più bassi, ma mirino fortemente a correggere gli enormi squilibri presenti riducendo le ingiustizie, le disuguaglianze e promuovendo una distribuzione del carico fiscale in modo effettivamente proporzionato. L’avvio di questo processo improrogabile di cambiamento rappresenta un passo cruciale verso un sistema fiscale italiano più giusto e inclusivo, capace di sostenere una crescita economica sostenibile e di garantire benefici effettivi e tangibili per l’intera società. I soldi, infatti, sono continuamente chiesti a tutti i cittadini di uno Stato, attraverso la tassazione sia direttamente o indirettamente. Pensiamo con più attenzione all’Iva, che grava sugli acquisti di tutti i cittadini senza nessuna distinzione in base alla condizione economica. L’Iva è un’imposizione identica sia per le famiglie povere sia per quelle con un patrimonio di oltre 1 milione di euro. Il che appare del tutto contrario ovviamente al principio in base al quale occorrerebbe tenere conto della capacità contributiva delle persone; ma soprattutto è alla base dell’ampliarsi delle disuguaglianze: infatti ricchi e poveri non solo rimarranno tali, ma la distanza tra loro aumenterà inesorabilmente nel tempo. Aumentare le imposte sulle successioni significa invece provare ad andare nella direzione contraria: considerare maggiormente la capacità contributiva e iniziare a porre un freno all’aumento della disuguaglianza.

In questa prospettiva andrebbero pensati interventi strutturali e non una tantum. Interventi che considerino la tassazione sui patrimoni non solo al momento di ricevere eredità e donazioni ma anche nel momento in cui sono formati. Ma soprattutto interventi che considerino che gli interessi particolari dei più ricchi non possono cancellare il dover chiedere di contribuire in base alle proprie capacità. Oggi è il momento di chiedere soldi a qualcuno che può pagare senza alcuno sforzo o rinuncia, considerando anche che negli ultimi decenni non ha pagato le tasse come avrebbe dovuto. Si pensi che con l´elezione di Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca, i ricchi americani pagavano, sulla parte più alta dei loro redditi, il 63% di imposte. Un´ascesa che non si è fermata, sino a toccare addirittura il 94% nel 1945. In pratica, negli Stati Uniti d’America i guadagni sopra i 200mila dollari (di allora) andavano quasi tutti allo Stato. Anche dopo la morte di Roosevelt i super ricchi statunitensi hanno continuato a pagare più del 90% sulla parte più alta dei loro redditi sino agli anni sessanta del secolo scorso. L’aliquota massima è poi scesa di colpo, rimanendo però intorno al 70%. È solo con i ruggenti anni ottanta e Reagan che l´imposta sui guadagni dei paperoni americani è scesa sino ad un massimo del 28%. Con la presidenza Trump sono state eliminate per i supericchi anche le tasse di successione. Infatti tutta la legislazione della presidenza Trump ha ridotto le tasse ai ricchi: dal 35% al 15% l’imposizione sulle imprese e riduce da 7 a 3 gli scaglioni di imposta per i contribuenti, con una aliquota massima del 35%. Inoltre, permette alle imprese di rimpatriare la liquidità detenuta all’estero pagando una sola volta l’imposta sull’operazione.

Oggi in Italia la continua propaganda neoliberista e dei mass media controllati dalle facoltose proprietà composta dallo 0,1 più ricco della popolazione italiana ci ha convinti che le tasse ai ricchi sono eccessive. Ma così facendo fanno,come dimostrato dalla ricerca citata, pagare più tasse ai poveri e ci hanno portato a questa insostenibile situazione d’ingiustizia che riguarda la stragrande maggioranza della popolazione italiana. Ma nessuno politico ha il coraggio di prendere i risultati della ricerca della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università di Milano-Bicocca per fare proposte concrete per investire queste vergognose ingiustizie.

Autore

  • Michele BLANCO

    Michele BLANCO. Dottore di ricerca in “Diritti dell’uomo e Diritti fondamentali. Teorie, etiche e simboliche della cittadinanza” presso la facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. Tra i suoi saggi più rilevanti si ricordano: “La vera ragione dei diritti umani e la democrazia partecipativa come premessa al reciproco riconoscimento tra i popoli” (2006), “Democrazia deliberativa ed opinione pubblica emancipata” (2008), “Cosmopolitismo e diritti fondamentali” (2008), “Diritti e diseguaglianze. La crisi dello stato nazionale e al contempo dello stato sociale” (2017), “Nota critica a Thomas Piketty, Capitale e ideologia” (2021) “Nota critica a Katharina Pistor , Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza”, 2021. “Recensione critica a Thomas Piketty, Una breve storia dell’uguaglianza”  2021.

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