KAMALA HARRIS NON PIACE ALLA CLASSE LAVORATRICE E AI POVERI

di Michele BLANCO

I democratici si stanno preoccupando perché a quanto pare molti degli elettori appartenenti alle classi sociali popolari non avrebbero molta simpatia per Kamala Harris, nonostante gli sforzi che sta facendo Obama e tutto l’apparato di partito democratico per convincerli a votarla.

La questione in realtà dovrebbe essere questa: Per quale oscura ragione gli elettori, specie quelli appartenenti ai ceti popolari, in larga maggioranza di condizione sociale bassa e medio bassa dovrebbero avere simpatia per questa donna? Soltanto per il fatto che non è bianca? Oppure perché è donna? L’essere donna e il non essere bianca è forse di per sé garanzia di progresso, giustizia sociale e pace nel mondo? Nella realtà il fatto di essere donna e nera non impedì a Condoleezza Rice, segretaria di stato durante la presidenza di G. W. Bush, di essere una delle maggiori sostenitrici dell’ingiustificata guerra all’Iraq, che porto a minimo 600mila morti innocenti, bambini, donne e indifesi iracheni, scatenata con l’alibi della clamorosa falsa notizia, in base alla quale quel paese sarebbe stato in possesso di armi di distruzione di massa, una chiara menzogna inventata dai servizi segreti statunitensi, che naturalmente la stessa Rice sostenne con forza. Kamala Harris, da sempre, notoriamente sostenuta dal gotha, dei ricchissimi statunitensi, delle cosiddette “Big Tech” e dal grande capitale americano multi-transnazionale, soprattutto finanziario e non solo, è inevitabilmente anche una portabandiera dell’ideologia neoliberale favorevole solo ad alcuni diritti civili e del linguaggio politicamente corretto. Soprattutto i suoi principali finanziatori, tra i quali compaiono in particolari i grandi nomi del mondo tech e finanziario come Alphabet, che finora ha donato alla candidata Dem 1,7 milioni, e il colosso dei software finanziari Bloomberg, il cui fondatore Michael Bloomberg mirava a sua volta alla candidatura nel 2020. La sua azienda ha donato 19 milioni di dollari alla campagna di Harris secondo i dati della Commission Federale per l’Elezioni (Fec) rilasciati il 29 luglio, una settimana dopo il passaggio di testimone da Biden alla sua vice.

Harris, va ricordato, ha ereditato il tesoretto di finanziamenti del suo predecessore. Era infatti stata indicata come sua vice designata e quindi, al momento delle dimissioni di Biden, risultava già come destinataria dei fondi. In un solo mese dal ritiro di Joe Biden dalla corsa presidenziale, Kamala Harris è riuscita a raccogliere fondi per un totale di 540 milioni di dollari. Non a caso il suo vice da lei designato in caso di vittoria è Tim Walz, acceso sostenitore dell’ideologia woke.

Qualcuno mi spieghi nella realtà, con i fatti ed un approccio non fintamente materialistico e non ideologico, perché gli appartenenti ai ceti popolari, neri o bianchi che siano, dovrebbero sentirsi rappresentati da un personaggio come Kamala Harris. Finora lei non si è mai espressa chiaramente in favore dei bisogni delle decine di milioni di poveri statunitensi, senza assistenza sanitaria, con pochissima istruzione, e, ancora, nessuna assistenza sociale.

Autore

  • Michele BLANCO. Dottore di ricerca in “Diritti dell’uomo e Diritti fondamentali. Teorie, etiche e simboliche della cittadinanza” presso la facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. Tra i suoi saggi più rilevanti si ricordano: “La vera ragione dei diritti umani e la democrazia partecipativa come premessa al reciproco riconoscimento tra i popoli” (2006), “Democrazia deliberativa ed opinione pubblica emancipata” (2008), “Cosmopolitismo e diritti fondamentali” (2008), “Diritti e diseguaglianze. La crisi dello stato nazionale e al contempo dello stato sociale” (2017), “Nota critica a Thomas Piketty, Capitale e ideologia” (2021) “Nota critica a Katharina Pistor , Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza”, 2021. “Recensione critica a Thomas Piketty, Una breve storia dell’uguaglianza”  2021.

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