La “lezione americana” è arrivata. Feroce e implacabile. Trump vince, anzi stravince. La Harris perde, purtroppo straperde. Trump è senz’altro la punta avanzata del populismo e del sovranismo di estrema destra. Nella sua vittoria ci sono tutti gli ingredienti di un modo di pensare e di agire che anche in Europa fa capolino da anni e che Paese dopo Paese conquista
consenso e potere di governo. Si prospetta pertanto un ciclo pesantissimo della vita democratica in tutto l’Occidente, se si considerano i rischi tutti aperti per le sorti dell’umanità sul versante dei conflitti e delle guerre, delle disuguaglianze e delle discriminazioni, dei diritti civili e sociali. Senza trascurare i problemi ulteriori che avremo per la lotta al cambiamento climatico e la capacità di regolare e gestire l’intelligenza artificiale.
Ma piangersi addosso è del tutto sterile. È vero, non ha perso solo la candidata Kamala Harris. Con lei ha perso ancora una volta un progetto politico e la leadership della sinistra, sia nel suo complesso sia nelle sue diverse declinazioni più moderate o più radicali, come gli studi dei flussi elettorali dimostrano da alcuni anni non solo negli Stati Uniti.
Si apre pertanto una fase molto dura e tutta in salita, irta di ostacoli e insidie, che si può trasformare tuttavia in un’opportunità preziosa e appassionante per ripensare e riprogettare l’identità della sinistra, il suo modo di rappresentare e governare le società. Nello stesso tempo è più che mai attuale l’esigenza di verificare il ruolo attivo delle democrazie dentro i travagli drammatici del nostro tempo.
C’è pertanto una “Lezione Americana”? Sì, senza dubbio.
La democrazia americana – e, con essa, il Partito Democratico – è andata in crisi su tre capisaldi della sua vitalità e capacità:
* Il ceto medio non si sente più il destinatario principale del benessere prodotto dell’economia. Anche quando l’economia va discretamente bene, come è avvenuto con Biden, i benefici redistribuitivi non sono effettivamente percepiti e questo spesso crea frustrazione e sconcerto. Il rancore e la rabbia verso la politica e la stessa democrazia prendono così il sopravvento, per cui si preferisce la scorciatoia populista e sovranista ben alimentata da leader potenti, spregiudicati e comunicativi come Trump.
* La ordinaria “decisione democratica” dei Governi e dei Parlamenti arranca, non riesce a essere tempestiva nel capire i problemi e compiere scelte risolutive. Si è sempre in affanno, si promette tanto e si realizza poco. Ci si impantana facilmente tra procedure burocratiche e ambiguità. Si è sempre più schiacciati sul “giorno dopo”, perdendo di vista il “giorno prima” dell’agire democratico. I leader democratici a torto o ragione trasmettono questa triste e attuale condizione della politica. Trump si presenta invece risolutivo e determinato anche a costo di stracciare regole e assetti democratici.
* La globalizzazione senza regole condivise e governance efficaci provoca ripercussioni sociali pesanti pure all’interno dei sistemi di produzione e di welfare dei Paesi occidentali. L’autorefenzialità dei populisti e dei sovranisti così prende il sopravvento sui tradizionali valori e sistemi di rappresentanza politici, sindacali, religiosi e culturali. Mentre i democratici americani si arrovellano sui problemi e agiscono con incertezze e ritardi sull’agenda mondiale, Trump salta a piè pari le complessità e si chiude nello slogan “America First”, condito di dazi e scelte non solo in funzione anticinese, ma pure antieuropeista e con alleanze internazionali ad assetto variabile rispetto a quella classica euroatlantica.
Per le sinistre allora è giunto il momento di affrontare sul serio la propria crisi e quella della democrazia per mettersi in cammino e trasformare il tempo dell’opposizione in un febbrile e incisivo “tempo di rigenerazione”.
Da dove ripartire? Da almeno tre versanti:
Il primo versante: bisogna iniziare dal rilancio del reddito e del ruolo culturale e politico del ceto medio-basso nella vita reale. Occorre restituire valore al reddito da lavoro, che è ormai crollato, e con esso alla casa, che è diventata un lusso a causa di affitti e mutui insostenibili, in modo da far fronte alle spese per lo studio, i viaggi e lo sport, che mettono in difficoltà o addirittura in ginocchio famiglie e generazioni di giovani. Bisogna poi smetterla di trascurare i problemi legati alla sanità e alle politiche sociali. Senza il benessere e la partecipazione politica del ceto medio-basso, il cammino di ripresa della sinistra rischia di essere confusionario e sterile, senza risultati elettorali e sociali. Le stesse democrazie occidentali hanno bisogno di gettare le basi di nuovi modelli istituzionali, a partire dal radicamento virtuoso nel ceto medio-basso.
Il secondo versante: bisogna riorganizzare la vita dei Partiti progressisti. Rincorrere la leadership “dell’Io-comunicativo” dà solo successi parziali e fragili. L’investimento culturale e progettuale va diretto verso il “Noi”, non nostalgico e chiuso ma aperto alla società, attraverso la metodologia sperimentata “dell’agire con”, della progettazione partecipata e condivisa, del pensare globale e dell’agire locale.
Il terzo versante: bisogna imparare a ridare autorevolezza e autonomia alla politica nel governare bene e con incisività i problemi più spinosi del nostro tempo. L’elenco è lungo: dobbiamo allontanare le guerre, promuovendo percorsi di pace realizzabili; realizzare la transizione green, senza scaricarne i costi sulle spalle fragili del ceto medio-basso; gestire i flussi migratori, senza perdere di vista l’umanità e la tutela dei diritti universali, garantendo accoglienza e inclusione e investendo per favorire una crescita di portata storica dei Paesi di provenienza; cogliere le opportunità offerte dalle innovazioni tecnologiche e dall’intelligenza artificiale; assicurare una regolazione trasparente dei mercati finanziari e della diffusione delle informazioni attraverso i social.
Non mancano i problemi geopolitici nei rapporti che scaturiranno dalla vittoria di Trump. Basti pensare a come si intenderà procedere nella gestione del conflitto sanguinoso e dispendioso dei Russi contro l’Ucraina e nel conflitto micidiale in atto tra Israele e Palestina. Si porranno problemi seri anche dal punto di vista della gestione degli accordi sulla transizione ecologica, sui rapporti commerciali con la Cina, sulle relazioni con i Paesi Brics.
Per evitare di subire le dinamiche attuali, con l’aggravio di quelle provocate dalle politiche di Trump, è necessario mettere in moto l’Europa con il progetto chiaro e tuttora abbastanza condiviso, soprattutto tra le nuove generazioni, di realizzare la fase costituente degli Stati Uniti d’Europa ad assetto federativo. Solo così si potrà evitare di lasciarsi dilaniare dall’iniziativa dei vari populismi e sovranismi, portatori – come la storia ci insegna – di conflitti a somma zero, che al tempo del nucleare globalizzato possono generare pericoli seri per la sopravvivenza stessa della specie umana.