La vittoria di Lula in Brasile sta scorrendo nelle vene di tutti i Paesi del mondo.
È un evento che riguarda il destino del Brasile ma smuove anche motivazioni e progettualità di quanti sono impegnati a ripensare e riprogettare il cammino dell’umanità.
Il Brasile è un grande Paese, il quinto Stato al mondo per superficie. Con oltre 200 milioni di abitanti, è il sesto nel mondo per popolazione. Si stima che ben 30 milioni siano di origine italiana. La sua società è composta da abitanti con storie diverse, provenienze differenti e alcune minoranze discriminate, come quelle indigene. Il territorio presenta una biodiversità straordinaria, arricchita dal polmone verde della Terra: la famosa e delicata foresta amazzonica, che si estende per 3,6 milioni metri quadrati.
Il Brasile è il Paese delle grandi contraddizioni: ci sono più di 43 milioni di poveri, di cui 33 milioni hanno serie difficoltà a sfamarsi. Le disuguaglianze hanno raggiunto livelli insopportabili. Nello stesso tempo, è un Paese ricco di risorse e ai primi posti in diversi settori industriali: automobilistico, siderurgico, tessile, calzaturiero, farmaceutico, alimentare, della trasformazione, del legno e della carta. È l’economia più avanzata dell’America Latina, la seconda in America, dopo gli Stati Uniti, e la sesta al mondo.
Il compito di Lula sarà molto difficile. Quando ha governato in passato, è riuscito a ottenere buoni risultati nella lotta contro la povertà, a garantire prosperità promuovendo un virtuoso sviluppo sostenibile socialmente e ambientalmente, a dare rilievo al Brasile in America Latina e nel mondo.
Ora prende in mano un Paese ferito e diviso. L’ultrapopulista e reazionario Bolsonaro ha messo in ginocchio il Brasile, lo ha reso molto più ingiusto, isolato nel contesto internazionale; ha posto in pericolo diritti umani, sociali e civili di tutti e in particolare delle minoranze indios; ha ridimensionato il già difficile cammino democratico; ha spinto sull’orlo del baratro il futuro dell’equilibrio ecologico mondiale con la deforestazione dell’Amazzonia.
Ho visitato questo affascinante Paese per due volte: una per presentare la legge, da me promossa in Italia, sulla rete dei servizi di prevenzione e cura delle Dipendenze, l’altra per dare una mano sulla legislazione antimafia.
Anche la storia di Lula ha il suo fascino: è un figlio del popolo che si è emancipato con il “noi” progressista, cattolico-sociale e sindacale. Nella sua vita, ha superato prove terribili: da ragazzino, in fabbrica, quando gli è saltato un dito della mano mentre lavorava ad un tornio, e addirittura da statista, quando è stato costretto ad una carcerazione di 18 mesi per una condanna ingiusta.
Adesso Lula ha davanti tre sfide da far tremare i polsi:
- Riprendere la lotta alla povertà con un moderno e capillare Welfare Community.
- Unire e pacificare una società molto divisa e dilaniata da pulsioni populiste e isolazioniste.
- Alimentare una progettualità progressista in grado di misurarsi con le sfide della lotta alle disuguaglianze, al cambiamento climatico e alle povertà, facendo fare un salto in avanti, sul piano economico e sociale, al ceto medio e a quello più basso.
Dalla vittoria di Lula, possiamo trarre una lezione più generale anche noi, europei ed occidentali? Senza facili e illusorie semplificazioni, riconosciamo che alcuni stimoli culturali oltre che politici ci toccano da vicino.
- Il progressismo Europeo ed Occidentale deve rigenerarsi a partire da un suo radicamento politico e sociale nei travagli del ceto medio-basso. Il populismo non si combatte con approcci elitari, spesso radical chic, ma con una capacità moderna e progettuale di dare voce e rappresentanza alla società più sofferente, con un sano e virtuoso compromesso con la parte avanzata che produce e innova.
- La soluzione della crisi dei nostri Partiti Progressisti sta non nella leadership dell’”IO” ma nella rigenerazione del Partito “NOI”. Dobbiamo rendere i Partiti aperti e partecipativi, radicati e con una cultura di governo in grado di modificare le cose ingiuste, di aprire alle innovazioni nel welfare e nell’economia e di sostenere le nuove sfide sociali e ambientali.
- Il contesto istituzionale dove agire politicamente non può essere il logoro, divisivo e conflittuale Stato-Nazione. Bisogna invece creare ampie realtà in grado di dare alla Globalizzazione una rigenerata governance capace di garantire pace, uguaglianza, libertà e sostenibilità ambientale. Il Brasile, con Lula, si apre agli Stati Uniti Latino-Americani. Per parte nostra, noi dovremmo avviarci verso gli Stati Uniti d’Europa. Altrettanto bisognerebbe fare in Africa, in Asia, in Oceania, ognuno per la propria parte, in modo da giungere infine agli Stati Uniti del Mondo.
C’è molto da ripensare e da riprogettare per il cammino dell’umanità. Dal Brasile di Lula ci giungono stimoli positivi per rimotivarci e impegnarci progettualmente.