LE PERIFERIE URBANE: DA IMMENSO PROBLEMA A OPPORTUNITÀ DI RIGENERAZIONE SOCIALE, AMBIENTALE, EDUCATIVA E CULTURALE. “I MALI DI ROMA” DEL 1974 E “I NUOVI MALI” DI OGGI

di Giuseppe LUMIA

Il Convegno Ecclesiale su “I Mali di Roma” del 1974 è una tappa da conoscere bene per coltivare buone memorie ed ispirare nuove progettualità nell’affrontare la situazione drammatica delle periferie urbane.

È stata un’ottima scelta, pertanto, quella del Dipartimento di Comunicazione e di Ricerca Sociale dell’Università “Sapienza” e dell’Istituto di Studi Politici San Pio V di riprendere il filo rosso di quel Convegno e di riproporre una moderna riflessione sulle condizioni in cui vivono oggi le nostre città.

È stata un’ottima scelta anche quella di avviare i lavori preso il “Binario 95” della Stazione Termini, dove l’accoglienza dei senza fissa dimora, gli studi sociali, l’impegno solidale hanno un sapore reale, innovativo e concreto.

Nel 1974 ero un giovanissimo liceale impegnato nel Movimento Studenti dell’Azione Cattolica della Diocesi di Palermo. Ricordo che ci giunse la notizia di questa ineditainiziativa di apertura alla lotta alle povertà nei quartieri popolari. Ebbi la possibilità di constatare di persona direttamente a Roma cosa significava vivere in una baraccopoli.

Solo più tardi, quando conobbi Luciano Tavazza, uno dei protagonisti dell’iniziativa, compresi appieno tutte le potenzialità di tale Convegno e allo stesso tempo i molteplici problemi che si dovettero affrontare per giungere a una scelta di simile portata e nel gestire un evento così articolato e partecipato, oltre alle ripercussioni e alle resistenze all’interno della Chiesa e della politica di allora.

Il Convegno su “I Mali di Roma” fu pertanto una pietra miliare per tre mondi vitali:

per la Chiesa, chiamata ad aprirsi alle “ansie e alle speranze, alle gioie e ai dolori” dell’umanità, in particolare degli esclusi che abitavano nelle periferie urbane, soprattutto nelle baraccopoli, secondo le scelte inedite del Concilio Vaticano II, dell’Enciclica “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII e dell’Enciclica “Populorum Progressio” di Paolo VI. Era una fase storica in cui la Chiesa cercava di mettere da parte l’idea chiusa e autoreferenziale della comunità ecclesiale, intesa come “Società perfetta”, per passare alla dimensione del sentirsi “Popolo di Dio” in cammino, in dialogo e in condivisione con gli uomini e le donne di buona volontà. Ci fu una spinta straordinaria di una nuova generazione di parroci e di laici impegnati a creare una forte connessione tra l’Evangelizzazione e la Promozione Umana: due termini che diedero anche il nome al Convegno dell’intera Chiesa Italiana del 1976. Prese vita allora la funzione della Caritas moderna, che Paolo VI affidò alla guida di un prete partigiano, colto e straordinario come mons. Giovanni Nervo.

per il Volontariato, chiamato a superare la mera logica assistenziale degli emarginati e diventare, così, “Volontariato Moderno” che si esprime non solo nel concreto “essere fare” ma anche nel promuovere emancipazione e liberazione, con un impegno diretto “all’essere cambiamento”, nonostante si fosse in contesti difficili come quella dei quartieri popolari, in coerenza con quanto richiesto dalla prima parte della nostra avanzatissima Costituzione. Si voleva superare una visione meramente gestionale per abbracciare la visione di un Volontariato ben organizzato, plurale e innovativo sul piano sociale, culturale e politico. Si crearono le condizioni favorevoli per la nascita del Movimento del Volontariato Italiano, promosso proprio da Luciano Tavazza.

per la Politica, che di fronte alle disuguaglianze e alle povertà visibili a Roma con le immense baraccopoli, dove si viveva senza acqua potabile, corrente elettrica, fogne, in alloggi di fortuna, bel al di sotto dei livelli standard igienico-sanitari e del rispetto della persona, avviò la stagione del governo delle città con una sinistra capace di immergersi nel sociale e nella promozione dei diritti, a partire proprio dai quartieri periferici. Nel 1976, a Roma, si riuscì a dare il via alla stagione dei Sindaci di sinistra come Giulio Carlo Argan, che continuò con Luigi Petroselli e Ugo Vetere.

Nel preparare e gestire il Convegno del 1974, si utilizzò un metodo avanzato e partecipativo: più di 350 documenti di approfondimento e decine di assemblee di elaborazione delle varie tematiche. Ai lavori aderirono più di 5.000 partecipanti, vi furono più di 750 interventi, con 12 gruppi di confronto.

Il Comitato preparatore era formato, oltre che dal Cardinale Ugo Poletti, da due sacerdoti “di apertura”, mons. Clemente Riva e don Luigi Di Liegro, da due personalità come Giuseppe De Rita, sociologo e segretario del Censis, a cui fu affidata la relazione di avvio sulle concrete condizioni sociali in cui versavano le periferie di Roma, e Luciano Tavazza, leader del Volontariato moderno, a cui fu attribuito il compito delicatissimo di fare sintesi dei contenuti emersi.

Con “I Nuovi Mali di Roma”, abbiamo ora una preziosa occasione per ispirare una nuova progettualità che sappia ancora una volta “osare” il cambiamento dentro i travagli dell’oggi per rigenerare socialmente e ambientalmente i quartieri periferici.

Dobbiamo avere la consapevolezza, infatti, che i contesti urbani, soprattutto periferici, oggi a Roma ma anche nelle principali città, grandi, medie e piccole, stanno attraversando una crisi terribile: disagi ed emarginazioni, mafie e criminalità comune, narcotraffico e dipendenze formano una miscela esplosiva di degrado e violenza.

Ecco perché il metodo del Convegno di allora su “I Mali di Roma” va rilanciato per avviare un moderno percorso partecipativo, che sappia utilizzare i saperi e le esperienze della “rigenerazione urbana”, presente nelle Università e nell’agire dei diversi soggetti del Volontariato e del Terzo Settore. Un modo di essere che progetta e opera attraverso un approccio integrato sul piano urbanistico, sociale, ambientale, educativo e culturale.

Così la Chiesa, sulla spinta delle innovative encicliche “Laudato si’” della “Fratelli tutti” di Papa Francesco, si fa un luogo vitale di “evangelizzazione e promozione umana” dentro le realtà periferiche, dove la ricerca di senso e la religiosità devono esser liberate dal tradizionalismo e dalla soggezione a chi detiene le leve della violenza e del potere, spesso mafioso.

Così il Volontariato moderno può diventare pienamente una scuola di liberazione da emarginazioni e discriminazioni, senza spegnersi in una realtà burocratizzata e ripiegata sulla gestione a basso costo dell’esistente, con un modo di pensare e di agire che si fa non solo accoglienza e condivisione ma anche cambiamento ed emancipazione.

Così la Politica può finalmente guardarsi dentro e riformarsi radicalmente nella logica del “Noi” aperto, ben formato e con un piglio progettuale per svolgere al meglio la sua insostituibile funzione democratica, tesa a modificare e a non subire la realtà ingiusta. Una politica capace di esprimere classe dirigente e scelte di governo nei quartieri periferici in grado di rigenerare vita partecipativa, ambiente, socialità e territorio.

In ogni città si avrebbe più che mai bisogno di iniziative sui mali che affliggono le periferie. Bisognerebbe ripetere quanto si è fatto su “I mali di Roma” anche a Milano, Torino, Genova e via via tutte le città del Centro-Nord e del Sud, come Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania… Insomma, c’è molto da ripensare, riprogettare e rifare per la rigenerazione delle nostre periferie urbane.

Autore

  • Giuseppe Lumia, detto Beppe, è un consulente di impresa ed un politico italiano. Per diversi anni Presidente nazionale del MOVI (Movimento di Volontariato Italiano) è fra i maggiori promotori in Italia del Terzo Settore Sociale. Deputato della Repubblica dal 1994 al 2008 e, poi, Senatore fino al 2018 ricoprendo dal 2000 al 2001 il ruolo di presidente della Commissione parlamentare antimafia.

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