L’ISTINTO DI MORTE DEL CAPITALISMO TRIONFANTE

di REDAZIONE

>> Piero  BEVILACQUA

Forse non c’è mezzo migliore, per afferrare la qualità spirituale del proprio tempo, che volgere lo sguardo al passato, specchiarsi nell’alterità di una diversa condizione umana. Oggi solo la storia, la comparazione con gli assetti di civiltà del passato, ci consente di sfuggire all’assuefazione, all’accettazione come naturale della miseria dei tempi, cui ci trascinano tre decenni di regressione civile incalzante.

E’ evidente a tutti che viviamo in un’epoca di infelicità generale. Lo spirito del capitalismo le cui origini Max Weber aveva individuato nella sobrietà protestante oggi è precipitato in un distillato di crescente ferocia sociale. Eppure l’età contemporanea, in Occidente, viene inaugurata dai ceti dominanti con la promessa di felicità da garantire all’universalità dei cittadini. Hanno cominciato a prometterla gli illuministi italiani, da Muratori a Filangeri, la borghesia americana con la Costituzione del 1787, i rivoluzionari francesi con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1793.

Ma nel ‘900 sono stati soprattutto gli USA, il Paese guida del capitalismo mondiale, a fondare la propria egemonia su un progetto e una promessa di benessere diffuso, di opportunità per tutti, di abbondanza illimitata per un numero crescente di individui. Qualcuno ricorda il cosiddetto sogno americano?

Oggi quel Paese, diventato infinitamente più ricco rispetto ai decenni del ‘900, che gode di una sovranità monetaria, economica e militare senza precedenti, che sottomette ormai l’intera Europa alla sua strategia globale, è uno dei paesi moralmente più impresentabili e più infelici del pianeta. Perché accade? Credo che alla base di tutto ci sia la crescente asimmetria e asprezza dei rapporti tra imprese e classe operaia, tra capitale e lavoro, che domina la nostra epoca. La brutalità con cui vengono trattate le maestranze, la svalutazione, precarietà e insicurezza che investe l’intero mondo subalterno, diventate svalutazione della vita, impregna di violenza l’intera trama dei rapporti sociali. E le disuguaglianze crescenti che ne costituiscono il risvolto sociale, col seguito di rabbia e frustrazione, danno il tono all’esistenza quotidiana di milioni di cittadini. Com’è noto, non si tratta di un esclusivo privilegio americano. Non si comprende il regresso civile dell’Europa, e dell’Italia in particolare, senza mettere nel conto quel che è accaduto ai ceti popolari negli ultimi 30 anni. Ma gli USA costituiscono un laboratorio speciale di conflitti interni. Qui cresce da anni un fenomeno speciale di violenza, quello dei suprematisti bianchi, una vera Altra America, nutrita dall’odio e dal rancore per l’altro. Alessandro Scassellati ne ha fornito di recente un quadro inquietante (Suprematismo bianco. Alle radici di economia, culturale ideologia della società occidentale, DeriveApprodi, 2023).

Il melting pot, vanto dell’America novecentesca, che riusciva a integrare gli immigrati provenienti da ogni parte del mondo, oggi è un crogiolo di piccole guerre a bassa intensità, senza considerare la guerra civile latente tra repubblicani trumpiani e democratici. L’antagonismo contro gli immigrati, braccati alle frontiere, la persecuzione razziale contro i poveri di colore, i poliziotti contro i neri, l’odio discriminante contro i gruppi Lgbt, gli assalti armati di isolati fanatici a scuole, università, luoghi pubblici. Un fenomeno che ha all’attivo circa 40 mila morti l’anno. Per fornire un’idea di che cosa è diventato il Paese guida dell’Occidente, quello che ci indica lo stile di vita da seguire, basti pensare che nelle scuole di tanti stati si insegna preliminarmente, a bambine e ragazzi, come comportarsi nel caso compaia in classe uno sconosciuto armato di mitra. La morte prospettata come casuale possibilità quotidiana anche dentro la scuola. E’ con tale pedagogia civile che si avviano le nuove generazioni al sogno americano.

L’Europa, sembra bene avviata su questa strada. La Francia mostra per tutti quanta esplosiva rabbia cova ai margini delle società opulente. Il Vecchio Continente pullula di lager camuffati, e ne finanzia altri in Libia, Turchia, ora in Tunisia. E’ ormai conclamata l’assuefazione ai morti in massa dei migranti, tant’é che i ripetuti naufragi nel Mediterraneo appaiono oggi nella loro vere luce: oculati massacri con cui si cerca di scoraggiare gli sbarchi dei fuggiaschi. Mentre rimane del tutto nascosta la guerra terrestre che i singoli stati, dai Balcani agli ultimi confini dell’Europa, muovono contro i disperati della Terra come racconta con racconti da brividi Maurizio Pagliassotti ne La guerra segreta (Einaudi 2023). E’ inevitabile. Una società fondata sull’ingiustizia, quella di un sistema che produce ricchezza in eccesso, ma impoverisce una massa crescente di chi la produce, già riempie di insensatezza l’aria che si respira. La violenza xenofoba fa il resto.

Ma oggi i gruppi dirigenti europei marciano dietro le insegne di guerra degli USA e della Nato. L’Occidente si è ricomposto, ha trovata la sua agognata unità, e il nuovo orizzonte di prosperità, il futuro luminoso è la guerra contro la Russia, in difesa della nostra meravigliosa democrazia, nella prospettiva dello scontro definitivo con la Cina. Credo che non ci sia figura più tragica della catastrofe culturale in cui è precipitato il capitalismo occidentale, dopo la sua galoppata secolare, di quella incarnata da Mario Draghi, che al MIT di Boston, il 7 giugno, come un vecchio generale esagitato, ha esortato alla guerra senza quartiere contro la Russia. Un eminente rappresentante dell’élite finanziaria, un signore del denaro, che ha abbandonato il terreno della politica quale via di soluzione dei conflitti, non può che promettere guerra, distruzione, annientamento. E tale esplicito istinto di morte nasce oggi con ogni evidenza da una inconscia consapevolezza che turba i signori del capitale: in fondo al processo di accumulazione senza limiti li attende la catastrofe ambientale e una cascata di problemi planetari che costoro non sono più in grado di affrontare.

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