L’ITALIA DEL DOPO TRUM (Parte I)

di Gianni PRINCIPE

Donald Trump ha perso le elezioni ma vuole continuare ad essere il “comandante in capo” fino all’ultimo secondo. Dopo di che, dato il carattere del personaggio, è assai difficile fare previsioni sulle sue mosse successive. Quello che si dà per certo è che i suoi elettori, alcuni milioni in più rispetto a 4 anni fa, resteranno una spina nel fianco della nuova amministrazione e in generale dell’establishment che si prepara ad acquartierarsi nei dintorni della Casa Bianca. Se non lo farà Trump, si può stare sicuri che altri proveranno a motivare quella imponente massa di persone esercitando una opposizione incalzante e promettendo loro un pronto riscatto.

Non se la passeranno bene, tuttavia, gli emuli di quell’area politica da questa parte dell’Atlantico (e in Italia). È assai discutibile che si possa stabilire un parallelo convincente tra il trumpismo del MAGA (make America great again) e il sovranismo germogliato attorno al riflesso paranoico della Fortezza Europa.
In ogni caso, chi ha scommesso su una vittoria di quello schieramento, vedendo l’esercito neoliberista avviluppato nelle contraddizioni della leadership tedesca, ha prima perso una battaglia, lo scorso anno alle elezioni europee, per poi subire una disfatta quando i sovranisti hanno scelto, in gran parte, la strada del compromesso con i Popolari, che l’hanno generosamente offerto una volta rinfrancati dalla perdita di ogni residuo potere di condizionamento dell’area socialdemocratica.
La domanda che ci si deve porre in questo scenario è, dunque, chi ha vinto con Biden. Quale America, quale Europa, quale ipotesi di futuro per quello che si ostina a definirsi “mondo libero”. A guardar bene, possiamo avvicinarci a una risposta solo se abbandoniamo lo schema adottato fin qui, dei due schieramenti in guerra. Non solo perché non funziona la logica manichea che divide il mondo in due parti (un mondo, il “nostro”, che peraltro ne è solo una parte minoritaria) quando invece è assai più articolato, ma perché i due paradigmi concettuali che appaiono predominanti in Occidente, si stanno mostrando entrambi incapaci di interpretare le sfide del presente e di sistematizzare una qualche ipotesi di prospettiva.
Esemplare, per la sua evidente inadeguatezza, l’analisi proposta da quello che è stato uno dei protagonisti principali della politica del passato, finita in un vicolo cieco, il britannico Tony Blair: “Sconfitto Trump, ora la sfida è al populismo di sinistra”, come titola la Repubblica una sua intervista molto citata. Espugnato il fortino sul fronte di destra si vada all’assalto dei manipoli sulla sinistra.
Non meno vuota di senso la versione che va di moda dalle nostre parti, “Biden dimostra che si vince al centro”. Il Presidente in pectore, almeno, appare assai meno rozzo: non ha fatto come la Clinton che, perfetta come esempio del “si vince al centro”, si è suicidata politicamente (arrivando a scegliere come vice l’ultramoderato Kaine) pur di marcare la distanza dalla sinistra, condannandosi a una sconfitta che sembrava impensabile.
Biden ha invece offerto a Sanders il Ministero del Lavoro e ha scelto come vice la prima donna di colore candidata a quella posizione. Una persona non ascrivibile alla sinistra ma nemmeno, negli schemi classici, al centrismo e comunque una evidente rottura di continuità.
Insomma, se il trumpismo-sovranismo non vince, il neoliberismo è tutt’altro che trionfante. È anzi al capolinea, incapace di risolvere, come sarebbe chiamato a fare, le grandi questioni che l’umanità ha di fronte avendo, proprio con la sua egemonia politica, grandemente contribuito a determinarle.
Le sfide sono sotto gli occhi di tutti, anche se i paradigmi dominanti ne offrono un’immagine deformata: l’esplosione delle disuguaglianze tra gli esseri umani, tra le classi sociali, tra i territori; la rottura dell’equilibrio con l’ecosistema circostante che minaccia di renderlo inospitale e di mutare in modo radicale le condizioni di sopravvivenza. Sfide di cui oggi non possiamo prevedere l’evoluzione.

Autore

  • Giovanni Principe, detto Gianni, dirigente storico della Cgil, laureato in Architettura ed Economia del territorio, opinionista ed autore di varie pubblicazioni. Da 40 anni al lavoro, su economia e politiche del lavoro (Ispe, Cgil, Isam, Isae, Isfol). Impegnato per cambiare le cose; è il modo giusto di vederle.

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