L’ITALIA ED IL SUO GOVERNO VANNO IN DIREZIONE OPPOSTA AL RESTO DEL MONDO

di Michele BLANCO

Nel mondo intero si sta intravedendo un fenomeno impensabile fino a qualche anno fa: l’agonia del neoliberismo e delle politiche liberiste, con tutti i suoi eccessi, tutte le sue ingiustizie, tutti i suoi disastri che ne ribadiscono quotidianamente la dannosità. È un’evidenza condivisa da tutti che il neoliberismo ci sta trascinando verso una rovina che è tanto sociale quanto ambientale, tanto etica quanto economica, tanto individuale quanto collettiva.

Avremmo bisogno di una nuova organizzazione sociale, di nuove politiche economiche, di un ritorno ad un welfare state più giusto e più sensibile e che sappia farsi carico delle questioni ecologiche e di una partecipazione più sentita dei cittadini alla vita pubblica.

La situazione politica ed economica italiana non sembra molto promettente. L’accoglienza degli immigrati sta esplodendo, la sanità, senza i 4 miliardi, implode. Il Pnrr nel caos, Salvini vuole tagliare infrastrutture fondamentali per il Sud: l’alta velocità Catania-Palermo, la Roma-Pescara e il completamento dell’anello ferroviario di Roma. Il governo taglia oltre 1,5 mld agli interventi sul dissesto idrogeologico. I prezzi dei carburanti sono ai massimi storici, soprattutto per la speculazione.

Il governo si trova nelle condizioni non ottimali, sia per la qualità dubbia delle personalità che compongono l’esecutivo, sia per la necessità impellente di far quadrare la prossima legge di bilancio, infatti, al momento si è alla disperata ricerca di “soldi”. Questo perché il taglio del cuneo fiscale comporta grande necessità di disponibilità economica che al momento non c’è. Ma la promessa fatta alle grandi imprese in campagna elettorale sembra essere l’unica che il governo Meloni intende rispettare.

Nei giorni scorsi, molti giornali hanno parlato di circa 20 miliardi necessari, che sono davvero tanti, che, al momento, mancherebbero per chiudere i conti della finanziaria 2024.

Si spiegano così alcune iniziative, in verità molto discordanti con la linea generale del governo, di per se utili e appropriate, come la tassazione degli extraprofitti delle banche e il rinnovo della convenzione tra il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle entrate per la lotta all’evasione fiscale.

Si comprende inoltre l’imbarazzo del governo sul prezzo della benzina dove, nonostante il record europeo, non intende, in nessun modo, ridurre le accise proprio perché più aumentano le spese per i cittadini alle pompe dei distributori più crescono, in modo esponenziale, le entrate dello Stato.

All’orizzonte ci sono i rischi di un rallentamento dell’economia o persino di recessione mondiale, dovuta in particolare alle sanzioni fatte alla Russia, il probabile ritorno degli obblighi europei sulla limitazione del deficit, la prevedibile crescita delle spese necessarie per pagare gli interessi del debito pubblico.

Tutto questo, purtroppo per i cittadini, impone allo Stato italiano la necessità di cercare risorse e di controllare bene le spese.

Ma la questione importante è per fare cosa, oltre che per presentare un bilancio accettabile all’Unione Europea ed evitare il default?

La risposta dell’attuale governo non è indirizzata, certo, ad accrescere la protezione sociale sulle famiglie povere e disagiate, non certo per stanziare risorse per una sanità ormai al disastro, non solo a causa del Covid, ma soprattutto per l’endemico sotto finanziamento, non certo per ridurre nelle scuole le classi pollaio e la dispersione degli alunni, non per dare più borse di studio agli universitari meritevole e provenienti dalle classi sociali meno ricche, e neanche per qualificare l’offerta culturale, che viene sacrificata da sempre.

Niente di tutto questo pare possa interessare il governo di destra che è concentrato quasi esclusivamente sull’obiettivo di realizzare una riforma del fisco che vada in direzione di una flat tax a beneficio dei più ricchi e di qualche modesta riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori, ma soprattutto per venire incontro agli imprenditori.

Meno tasse per i ricchi, ma più ingiuste per la stragrande maggioranza degli italiani, tutto questo per ricevere in cambio minori servizi e minore protezione sociale.

L’impianto di destra, liberista, anche di classe, delle politiche dell’attuale maggioranza, guidata da Fratelli d’Italia, trova un’ulteriore conferma nel rifiuto ad adottare il salario minimo che comporterebbe circa 7 miliardi di maggiori spese per le imprese che oggi sottopagano i lavoratori.

Sembra chiaro che la destra al governo spera in una crescita economica affidata alle forze del mercato con pochi correttivi a favore dei ceti medi e bassi. Ma tutto questo, al momento, sembra improbabile a causa dell’inflazione e del taglio continuo e ingiustificato dei servizi pubblici.

Si tratta, con molta evidenza, di una manovra classista, estremamente contraria agli interessi dei ceti popolari, ma anche delle classi medie, con lo sguardo rivolto al passato e destinata a fallire anche sul terreno della crescita.

Infatti, queste politiche, profondamente ingiuste, potevano avere una qualche razionalità e possibilità di riuscita quando la domanda estera dei nostri beni era in forte aumento grazie allo sviluppo dei paesi emergenti, ma ora, in tempi di possibile recessione mondiale, non è sbagliato pensare che siano destinate ad un rapido insuccesso.

Il risultato sarà un Paese più povero con maggiori diseguaglianze, anche se già sono molto gravi e i dati sulla povertà molto preoccupanti.

Per evitare tutto questo bisogna sperare che ci sia una grande mobilitazione sociale e politica in autunno, anche se, sia i sindacati che i partiti politici di “sinistra” sembrano piuttosto “evanescenti”. Si deve inoltre auspicare che con il prossimo voto europeo, ci sia il ritorno al voto di milioni di cittadini, disillusi che possano dare un forte segnale per fermare questo sciagurato e retrivo progetto.

Autore

  • Michele BLANCO

    Michele BLANCO. Dottore di ricerca in “Diritti dell’uomo e Diritti fondamentali. Teorie, etiche e simboliche della cittadinanza” presso la facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. Tra i suoi saggi più rilevanti si ricordano: “La vera ragione dei diritti umani e la democrazia partecipativa come premessa al reciproco riconoscimento tra i popoli” (2006), “Democrazia deliberativa ed opinione pubblica emancipata” (2008), “Cosmopolitismo e diritti fondamentali” (2008), “Diritti e diseguaglianze. La crisi dello stato nazionale e al contempo dello stato sociale” (2017), “Nota critica a Thomas Piketty, Capitale e ideologia” (2021) “Nota critica a Katharina Pistor , Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza”, 2021. “Recensione critica a Thomas Piketty, Una breve storia dell’uguaglianza”  2021.

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