L’OPINIONE PUBBLICA NELL’ETÀ LIQUIDA

di Michele BLANCO

Nella società contemporanea è scomparsa la razionalità e l’opinione pubblica che, nelle stesse democrazie liberali, è diventata manipolabile e servile.

Nel mondo contemporaneo si avverte, sempre più, un disperato bisogno di una difesa delle società aperte e delle democrazie liberali e del rispetto di chi segue le regole della convivenza civile. Tutto questo perché l’auspicata crescita della

consapevolezza generale dei cittadini delle democrazie occidentali non è avvenuta, anzi negli ultimi decenni è tragicamente regredita.

C’era una volta l’opinione pubblica razionale e indipendente, anche se non maggioritaria, ma ormai non c’è, non esiste, più. Quella di questi nostri tempi in cui la sfera pubblica sta vivendo tali e tante trasformazioni, e regressioni, da apparire sempre più irriconoscibile, ininfluente, manipolata e modificata, fino ad essere trasfigurata.

Già nel secolo scorso ricordava il sociologo Denis McQuail, i mezzi di comunicazione di massa sono nati per massimizzare l’audience e, in tal modo, i profitti dei loro editori, ma nella società occidentale post-illuministica sono stati investiti anche del ruolo di contribuire in maniera decisiva alla formazione dei cittadini-elettori e alla costruzione della sfera pubblica democratica. L’informazione, si sa, è al medesimo tempo circolazione di idee e merce. E, dunque, l’elemento della sollecitazione delle emozioni del pubblico dei lettori si va dallo scandalismo al sensazionalismo come accadeva già nella stampa del XVII secolo che dalle gazzette dei philosophes passava all’industria editoriale nell’accezione moderna delle dinastie dei tycoons di Londra e New York che si inventarono i tabloid popolari e la stampa gialla.

Così come, naturalmente, non si è mai data nel corso della storia successiva alle rivoluzioni liberali del Settecento nessuna sfera pubblica in stile «repubblica dei filosofi» di Platone – sulla cui democraticità, peraltro, analogamente a tutte le forme di epistocrazia, governo delle elites, si devono nutrire alcuni legittimi (e fondatissimi) dubbi. La sfera pubblica, prendendo a riferimento la sintesi magistrale che ne diede Jürgen Habermas in famoso libro del 1962 (Storia e critica dell’opinione pubblica) – è sempre stata, a dire il vero, uno spazio “emozional-razionale”, nel quale le emozioni (a cominciare dalle passioni politiche) hanno sempre posseduto un peso significativo. Nondimeno, alla fine, a prevalere – specialmente in virtù della presenza delle figure degli intermediari (dagli intellettuali ai giornalisti, dai politici ai funzionari sindacali) – era, come indicava appunto Habermas, la razionalità discorsiva. Certo, la mediazione introduceva un nodo critico, poiché la sfera pubblica consiste nel dialogo intorno a questioni di rilevanza collettiva da parte di individui liberi nel loro pensiero, ma la parabola temporale dell’opinione pubblica rappresenta (anche) una storia di fruttuose contraddizioni. E, soprattutto, un elemento imprescindibile di questa evoluzione coincide con la «pubblicità mediata», garantita giustappunto dai mezzi di comunicazione che permettono la condivisione degli argomenti e dei temi di cui discutono i cittadini, alimentando potenzialmente, come spesso accaduto, il rischio della loro distorsione, come all’inizio degli anni Venti avevano già evidenziato Walter Lippmann ed Edward Bernays). Attualmente sembra di vivere. Tanto che siamo di fronte alla minaccia di finire stritolati dalle notizie che spesso sono strumentali e concordanti con un pensiero unico dominante e pervasivo voluto dai ricchi e pochi possessori dei mezzi di comunicazione di massa più influenti.

Si tratta di un informazione che definirei del pensiero unico portata avanti da vari pifferai magici e imprenditori irresponsabili, anche, della politica per attirare consensi sublimando le frustrazioni infinite, le aspettative illimitate andate deluse e le degenerazioni di quanto, a fine anni Settanta, Christopher Lasch (un conservatore serio e innamorato sostenitore del modello democratico) aveva profeticamente chiamato la «cultura del narcisismo». Perché, nel frattempo, è accaduto che anche l’overdose mediale generata dal web ha sostituito «l’emozione pubblica» del momento all’opinione pubblica, nel cui ambito, in verità, le opinioni non risultavano tutte equivalenti o interscambiabili  come nell’odierno diffuso stadio dell’opinionismo rancoroso e assolutamente non informato, ma, per riscuotere adesione, dovevano sottoporsi al vaglio del dato di realtà o, quanto meno, del confronto serio e informato intersoggettivo.

Oggigiorno le persone sono abbandonate, sono singoli dell’età liquida e della solitudine globale, come ha perfettamente illustrato il sociologo Zygmunt Bauman, che si trincerano dietro gli schermi digitali e si rinchiudono nelle loro corazze cognitive per difendersi dalla precarietà dilagata in tutti i campi dell’esistenza, fino (nei tanti, troppi, casi peggiori) a trasformarsi in leoni da tastiera, odiatori seriali, complottisti di ogni risma e “Napalm51”.

La contemporanea post-sfera pubblica dopata di comunicazione istantanea e non verificata, ha instaurato il primato di «una sfera pubblica emozionale» dove urlare, notizie palesemente false, che non saranno mai confermate, ma che nessuno ricorderà, o farà finta di non ricordare, quale politico le ha diffuse e ne ha tratto vantaggio anche elettorale, è divenuto incredibilmente sinonimo di autenticità, e vari leader politici incitano all’odio dell’avversario e praticano costantemente la politica dell’inciviltà. Riuscendo ad apparire nei dibattiti televisivi solo per volgarità e inconsistenza ma al tempo stesso riuscire a trarne vantaggio. Esattamente come quei genitori, i loro elettori ideali, che aggrediscono gli insegnanti seri, che vorrebbero insegnare, educare, ad essere persone pensanti e far studiare la prole viziata, e disprezzano le regole comuni della convivenza, non sapendo minimamente dominare le proprie emozioni. Oggi si disprezza chi paga le tasse regolarmente e chi vuole educare anche razionalmente all’autonomia e al senso di solidarietà. Perché adesso di una riscoperta aggiornata della razionalità (limitata, circoscritta e plurale finché si vuole) e di una difesa dell’universalismo e dell’idea della società libera, aperta e solidale nelle nazioni democratiche ce ne sarebbe un disperato bisogno

Autore

  • Michele BLANCO. Dottore di ricerca in “Diritti dell’uomo e Diritti fondamentali. Teorie, etiche e simboliche della cittadinanza” presso la facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. Tra i suoi saggi più rilevanti si ricordano: “La vera ragione dei diritti umani e la democrazia partecipativa come premessa al reciproco riconoscimento tra i popoli” (2006), “Democrazia deliberativa ed opinione pubblica emancipata” (2008), “Cosmopolitismo e diritti fondamentali” (2008), “Diritti e diseguaglianze. La crisi dello stato nazionale e al contempo dello stato sociale” (2017), “Nota critica a Thomas Piketty, Capitale e ideologia” (2021) “Nota critica a Katharina Pistor , Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza”, 2021. “Recensione critica a Thomas Piketty, Una breve storia dell’uguaglianza”  2021.

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