L’UE È UN GATTINO DI CARTA

di Pino D'ERMINIO

Ai tempi della guerra in Vietnam – conclusa il 30 aprile di 50 anni fa con la vittoria dei vietcong – uno slogan antimperialista definiva gli USA una tigre di carta. Se guardiamo allo smarrimento delle capitali europee, a seguito della guerra pseudocommerciale scatenata da Trump, viene da dire che l’UE è un gattino di carta.

Esaminiamo preliminarmente le motivazioni e gli scopi che hanno spinto il presidente degli States a scatenare una guerra mondiale economico-politica, camuffata da commerciale, che mette nel mirino principalmente la Cina e l’UE. La bilancia delle partite correnti comprende gli scambi dei prodotti fisici (bilancia commerciale), dei servizi e dei cosiddetti trasferimenti (rimesse degli emigranti, pensioni, donazioni, contributi). Il saldo della bilancia delle partite correnti degli USA è negativo dal 1982, con l’eccezione del 1991, quando ha registrato un lieve attivo (pari allo 0,05% del loro PIL), incluso il quadriennio 2017-2020 della precedente presidenza Trump.

Secondo le teorie economiche basate sul mercato, lo squilibrio negativo delle partite correnti è corretto “naturalmente” dalla mano invisibile, con il deprezzamento della valuta del paese deficitario, il che equivale ad una riduzione dei prezzi delle sue esportazioni ed al fenomeno contrario per le importazioni, con conseguente aumento delle prime e riduzione delle seconde. Tale processo non è senza costi per il paese interessato, che peggiora le ragioni di scambio ed importa inflazione. Per gli USA tale aggiustamento “naturale” non è avvenuto, nonostante più di 40 anni di disavanzo del saldo delle partite correnti, perché essi sono il paese egemone economicamente, finanziariamente, politicamente, militarmente ed il dollaro statunitense è la valuta di riferimento delle transazioni mondiali di beni e servizi e del mercato dei capitali. Da oltre 40 anni gli USA “non pagano dazio” e sfruttano la maggiore convenienza di prodotti importati, senza subire ricadute inflattive e deprezzamento della loro valuta. L’esatto contrario di quanto sbraita Trump, che accusa il mondo intero di approfittare degli USA.

Allora perché Trump e gli ambienti economico-sociali che lo circondano hanno deciso di scatenare una guerra mondiale dei dazi? Il vero obiettivo è invertire il fenomeno della delocalizzazione delle unità produttive verso paesi con costi di produzione più bassi. Più fabbriche e più uffici in patria vogliono dire più occasioni di lavoro per i residenti e maggiore autonomia strategica dagli altri paesi. Credo che l’obiettivo principale sia l’autonomia strategica, figlia delle paranoie di un impero in lento declino, che vede minacciata la sua supremazia dalla Cina, ma anche dall’amica UE. Da un punto di vista strettamente economico, le mosse dell’amministrazione Trump sono un suicidio, oltre che un danno all’economia mondiale. Riportare la produzione delle Nike dal Vietnam in patria vuol dire raddoppiare o triplicare il loro costo di produzione, con conseguenze disastrose sulle vendite, sul conto economico e sui profitti dell’impresa; nel breve periodo si genera un incremento delle entrate fiscali USA, ma a prezzo di danneggiare la capacità competitiva di una multinazionale “di casa” e, a cascata, del sistema paese. Medesimo discorso vale per le Tesla prodotte in Cina e per le attività all’estero di tutte le multinazionali made in USA. Le retribuzioni pagate in patria cresceranno ed anche questo porterà un maggiore prelievo fiscale, ma tali incrementi saranno erosi dalla crescita dell’inflazione, spinta dal maggiore costo sia delle produzioni nazionali che delle importazioni.

Nel 2024 il disavanzo delle partite correnti USA ha raggiunto 926 miliardi US$, con un saldo negativo di 1.210 miliardi US$ nella bilancia commerciale, positivo di 293 miliardi US$ nei servizi e negativo di 9 miliardi US$ nei trasferimenti. Ai primi due posti del suddetto disavanzo USA si trovano la Cina (inclusa Hong Kong), con 273 miliardi US$ (29,5% del totale), e l’UE con 236 miliardi di US$ (25,5% del totale). All’interno dell’UE i paesi con maggiore avanzo delle partite correnti sugli USA sono l’Irlanda (87 MldUS$), la Germania (85 MldUS$) e l’Italia (46 MldUS$), che sommati rappresentano il 92% dell’avanzo dell’UE verso gli USA. La situazione è particolarmente grave per l’Irlanda, che indirizza negli USA il 46% delle sue esportazioni, ma difficile anche per la Germania e l’Italia, che collocano negli USA entrambe il 22% delle loro esportazioni (per l’Italia il primo mercato è la Germania, seguita dagli USA e dalla Francia).

La Cina ha immediatamente deciso di rendere agli USA pan per focaccia e si può essere certi che manterrà la posizione. L’UE invece … La Commissione europea dice di avere un piano A ed un piano B; fa sapere di avere addirittura un bazooka, che per il momento non imbraccia, ma che “è sul tavolo”; raccomanda di evitare prima di tutto il panico (che è il modo migliore per scatenarlo). Il piano A propone agli USA di azzerare i dazi reciproci sui prodotti industriali. Considerato che il disavanzo USA è principalmente sui prodotti industriali, mentre sui servizi essi sono in avanzo, perché Trump dovrebbe gradire il piano A? Una proposta da cretini, alla quale gli USA non si sono peritati neanche di rispondere. Il piano B consiste nello stilare una lista a più stadi di beni e servizi da gravare con dazi ritorsivi. D’intesa con la Commissione europea, la lista è stata approvata il 9 aprile da un comitato “tecnico” dei 27, con il voto contrario dell’Ungheria. Il primo elenco dovrebbe valere 3,9 miliardi di US$ di incremento dei dazi, il secondo ed il terzo sono stimati in 13,5 miliardi US$ ed il quarto 3,5 miliardi US$; in totale 20,9 miliardi US$, non proprio un colpo sonoro. I tre stadi dovevano entrare in vigore rispettivamente il 15 aprile, il 16 maggio ed il 1° dicembre, ma la Commissione europea li ha congelati il giorno successivo all’approvazione, dopo che il 9 aprile Trump ha annunciato a sorpresa che, bontà sua, applicherà a tutti la tariffa del 10%, sospendendo per 90 giorni le aliquote maggiori. Fanno eccezione i dazi verso la Cina, elevati al 125%. Su una cosa però l’UE si dichiara allarmata: bisogna evitare che la Cina sposti su di noi l’interscambio bloccato con gli USA. Hai visto mai che ci propongano condizioni di import-export vantaggiose? Morbidi con gli USA, duri con la Cina! Notare che in tutto questo parlare e straparlare non è neanche contemplata una discussione in seno al Parlamento europeo.

Trump, con la consueta arroganza e malagrazia, ha detto che aspetta che i governanti degli altri stati vadano uno ad uno a “baciarmi il culo” (letterale). Il Governo italiano raccomanda prudenza. Meloni – anche lei in coda per andare personalmente da Trump – dice di essere ideatrice del piano A – quello da cretini, che chiama “zero per zero” – e che per aiutare le aziende patrie in difficoltà bisogna allentare il patto di stabilità (fare più debito pubblico) e rinviare sine die il Green Deal. Quest’ultimo – l’Accordo verde – andrebbe piuttosto accelerato, sia nelle batterie per auto, dove scontiamo uno svantaggio tecnologico di almeno 10 anni rispetto alla Cina, sia nelle tecnologie energetiche rinnovabili, dove in UE esistono già delle eccellenze. La Germania è il paese più intenzionato a rispondere a tono agli USA. Speriamo che riesca a trainare anche l’Italia e l’UE, altrimenti finiremo “cornuti e mazziati”.

  • Giuseppe (detto Pino) D’Erminio è nato a Termoli il 26 aprile 1950. È laureato in Economia e commercio. Fino al 2016 ha lavorato nel settore assicurativo, area marketing, presso direzioni di compagnie e come consulente. Ha aderito al Manifesto ed al Pdup, quando furono costituiti. Successivamente è stato delegato sindacale per alcuni anni nel Consiglio d’azienda dell’impresa dove lavorava. Negli ultimi anni ha collaborato e collabora tuttora con associazioni e gruppi civici.

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