NEL PO 2022 -2024 PRESENTATO DA TOMA NON C’E’ UNA SOLA IDEA

di Pino D'ERMINIO

Il presidente-della Giunta regionale, nonché commissario ad acta del servizio sanitario regionale (SSR) dal 5 agosto 2021, ha finalmente emanato il Programma operativo (PO) 2022-2024 della sanità pubblica molisana, inviato ai ministeri dell’economia e finanza e della salute per il placet. Toma ha impiegato oltre un anno per elaborarlo, ma l’esito è del tutto deludente.

Il PO 2022-2024 continua a muoversi nel solco dei PO che lo hanno preceduto, la cui priorità è stata l’azzeramento del disavanzo economico annuale, da raggiungere tagliando i servizi ed il personale. Dopo 15 anni di piano di rientro dal disavanzo, di cui 13 di commissariamento, i conti della sanità molisana non sono affatto migliorati, anzi le inefficienze sono cresciute. A fronte di servizi sempre minori e sempre peggiori, la spesa per testa del SSR del Molise è di 2.120 euro (altri 400 euro circa a testa vengono spesi al di fuori del SSR), contro 1.904 euro di media Italia.

Nel 2006, anno che precede l’avvio del piano di rientro, l’ASReM contava 4.025 dipendenti, di cui 724 medici, nel 2018 – grazie ai tagli praticati durante le presidenze regionali di Iorio e di Frattura – i dipendenti sono scesi a 2.667 unità, di cui 464 medici. Successivamente c’è stato un modesto recupero numerico del personale (più 110-130 unità), incluso quello medico (più 15-20 unità), del tutto insufficiente a consentire per molti reparti la normale copertura dei turni, con i normali periodi di riposo. In ASReM mancano specialmente anestesisti-rianimatori, pediatri e neonatologi, ginecologi ed ostetrici, ortopedici, emodinamisti, specialisti di medicina d’urgenza (pronto soccorso). Il PO 2022-2024 indica l’obiettivo di assumere 250 medici nel 2022; lo stesso documento informa che quelli effettivamente assunti da gennaio a maggio 2022 sono stati 61, pertanto l’obiettivo appare del tutto velleitario. Il documento non specifica quanti medici sono usciti dall’ASReM nello stesso periodo – per pensionamento, trasferimento ad ASL di altre regioni, dimissioni per passare al privato – quindi non è dato conoscere il saldo numerico esatto tra i medici entrati e quelli usciti, ma la condizione di perenne affanno in cui versano molti reparti induce a credere che non siano intervenuti miglioramenti palpabili. C’è anche da considerare un aspetto qualitativo: i bandi per il reclutamento di medici, quando non vanno deserti, portano all’assunzione per lo più di specializzandi e di qualche specializzato, mentre i medici che escono vantano esperienza pluridecennale. Il PO, inoltre, non prevede nessuna iniziativa per sanare lo scandalo dei moltissimi reparti retti da facenti funzione, nominati dalla direzione sanitaria, e non da primari, vincitori di concorso. Il primario è la figura chiave per la crescita professionale dei suoi collaboratori e per la credibilità del reparto verso gli utenti. Non c’è dunque da stupirsi se l’ASReM manca di attrattiva sia per i giovani medici, che per i professionisti affermati che potrebbero ambire al primariato, se venissero indetti i relativi concorsi, e se la mobilità passiva è la più alta in Italia con il 30% (media Italia 9%).

Toma non può pensare di risanare i bilanci tagliando il personale, come hanno fatto Iorio e Frattura, perché questo è ormai all’osso, ma continua a tagliare i servizi: chiusura del punto nascita a Termoli e di emodinamica ad Isernia. Dice che deve farlo perché non ci sono i numeri previsti dal DM 70/2015. I numeri bisogna anche saperli e volerli leggere correttamente. Ogni anno ci sono 600-650 donne residenti nel Basso Molise che partoriscono, ma da alcuni anni a questa parte solo la metà lo fa a Termoli. Il bacino di utenza è dunque superiore al valore soglia di 500 parti all’anno. Invece di limitarsi ad una presa d’atto “contabile”, la direzione sanitaria dell’ASReM e quella generale dovrebbero indagare le cause del ridotto numero di nati a Termoli e rimuoverle. Incomprensibile è anche la chiusura di emodinamica ad Isernia, che ha circa gli stessi numeri di Termoli. Con il PNRR sono stati già stanziati 23,1 milioni per l’ammodernamento tecnologico degli ospedali pubblici del Molise. Sempre il PNRR ha stanziato 12,9 milioni per interventi antisismici all’ospedale di Termoli. Necessari gli ammodernamenti tecnologici, un po’ dubbio quello sull’edificio dell’ospedale di Termoli (non è già antisismico?), ma questi investimenti rischiano di essere infruttuosi se gli ospedali pubblici si svuotano di personale, di servizi e di pazienti.

Nell’ambito dell’emergenza-urgenza un ruolo decisivo spetta al 118, che in Molise riveste un compito particolarmente difficile, perché la regione conta 136 comuni, per lo più piccoli e piccolissimi, sparsi su un territorio impervio, pessimamente collegati da strade provinciali in stato di semiabbandono. Invece di limitarsi a lamentare l’inadeguatezza dei collegamenti stradali, Toma avrebbe potuto almeno invocare l’impegno fattivo delle province di Campobasso e di Isernia, il cui compito principale è proprio la gestione delle strade provinciali, per il loro risanamento. Quando si parla di strade per il Molise salta fuori la superstrada da Termoli a San Vittore; ma non è quella l’opera stradale principale che serve ai molisani, quello che serve è prima di tutto intervenire sulle strade provinciali, che sono vergognose. In queste condizioni le attuali 16 postazioni del 118 sono del tutto insufficienti. E c’è di peggio: anche qui si registra una carenza di medici e molte ambulanze operano senza medico a bordo. A questi gravi problemi il PO 2022-2024 dedica un paragrafo smilzo, senza prevedere nessun intervento, salvo annunciare che in un futuro, non si sa quanto lontano, si vorrebbero dotare le ambulanze del software e dell’hardware per inviare via internet al pronto soccorso di destinazione l’elettrocardiogramma della persona soccorsa.

Riguardo alla cosiddetta assistenza territoriale, che vuol dire tutto quello che non riguarda i ricoveri, nel PO 2022-2024 si annuncia la creazione di 13 “Case della comunità” (Cdc). Questa parte del PO 2022-2024 per la verità non è frutto del Toma-pensiero, ma delle strategie e delle disposizioni del Governo nazionale, emanate con il DM 77/2022. Le Cdc si propongono come un’evoluzione delle “Case della salute” (Cds), alias “Aggregazioni funzionali territoriali” (AFT), alias “Unità complesse di cure primarie” (UCCP). Queste denominazioni fantasiose e criptiche indicano i poliambulatori pubblici extraospedalieri. Il tema è di tutto rilievo, sia dal punto di vista della tutela della salute, che da quello economico. Dal lato sanitario, visite ed esami specialistici sono decisivi per prevenire l’insorgere di malattie e per la diagnosi precoce. Dal lato economico, rappresentano il 7,5% della spesa sanitaria del SSR del Molise (circa 160 euro/anno per testa). Nel 2021 la spesa per la specialistica tramite il SSR dei molisani, in regione e fuori, al netto dei ticket, è stata di 41,7 milioni, di cui 34,3 milioni in regione e 7,4 milioni fuori; nello stesso anno in Molise sono stati spesi 38,7 milioni da non residenti; pertanto, il giro d’affari in regione (per residenti e non) della specialistica del SSR è ammontato a 73 milioni (80,4 milioni al lordo dei ticket), di cui soltanto il 20,2% nel pubblico. In realtà le prestazioni erogate veramente dal pubblico, cioè dagli ambulatori presso gli ospedali pubblici, sono state circa la metà; l’altra metà è stata fornita nei poliambulatori pubblici dai cosiddetti “specialisti ambulatoriali interni” (SAI), che sono specialisti convenzionati con l’ASReM, dunque privati. A queste cifre occorre aggiungere la specialistica in regime totalmente privato (extra SSR), di cui non ho trovato stime.

Le Cdc saranno di due tipi, “hub” e “spoke”, ubicate in edifici pubblici ed attrezzate a spese del pubblico, ma affidate ad operatori privati. Per il Molise, nell’ambito del PNRR, sono stati stanziati 13,8 milioni per 7 hab (Termoli, Larino, Campobasso, Riccia, Isernia, Agnone, Venafro) e 6 spoke (Santa Croce di Magliano, Castelmauro, Montenero di Bisaccia, Bojano, Trivento, Frosolone). Secondo l’allegato 1 al DM 77/2022, le Cdc hub devono garantire assistenza medica ed infermieristica 7 giorni su 7, per almeno 12 ore al giorno, mentre le ore notturne sono presidiate dai “medici di continuità assistenziale” (CA), ex guardia medica; per le Cdc spoke l’operatività è prevista dal lunedì al sabato, con presenza medica ed infermieristica per almeno 12 ore al giorno. Gli ambulatori specialistici riguarderanno «le patologie ad elevata prevalenza (cardiologia, pneumologia, diabetologia, ecc.)». Per ogni Cdc hub sono previsti «7-11 Infermieri, 1 assistente sociale, 5-8 unità di Personale di Supporto, (Sociosanitario, Amministrativo)»; il numero previsto dei medici non è indicato, ma dovrebbe essere non inferiore a quello degli infermieri. Per il Molise, nelle 13 Cdc dovrebbe esserci la presenza di almeno un centinaio di medici, altrettanti infermieri e una sessantina di altri operatori, tutti inquadrati privatisticamente con un rapporto in convenzione.

Dubito che il necessario quantitativo di addetti venga soddisfatto e che le Cdc possano realmente offrire i servizi promessi, almeno in Molise; ma l’aspetto maggiormente critico, a mio avviso, è la strategia sottesa alle Cdc, che è quella di privatizzare al 100% l’assistenza territoriale, che lo è già in gran parte. I “medici di assistenza primaria” (comunemente detti medici di famiglia), quelli CA e SAI sono privati convenzionati; l’assistenza domiciliare è anch’essa affidata a società private. Il “destino” delineato per gli ospedali pubblici è di abbandonare l’assistenza ambulatoriale specialistica e di limitarsi a quella di ricovero; in quest’ambito, le funzioni degli ospedali pubblici dovrebbero essere ulteriormente ridotte a coprire l’emergenza-urgenza (molto costosa), lasciando campo libero ai privati nei ricoveri programmati (economicamente redditizi).

Nel PO 2022-2024 presentato da Toma non c’è una sola idea che esca al di fuori del solco dei dettami già sperimentati con insuccesso; anzi, direi che non c’è una sola idea in assoluto.

Autore

  • Giuseppe (detto Pino) D’Erminio è nato a Termoli il 26 aprile 1950. È laureato in Economia e commercio. Fino al 2016 ha lavorato nel settore assicurativo, area marketing, presso direzioni di compagnie e come consulente. Ha aderito al Manifesto ed al Pdup, quando furono costituiti. Successivamente è stato delegato sindacale per alcuni anni nel Consiglio d’azienda dell’impresa dove lavorava. Negli ultimi anni ha collaborato e collabora tuttora con associazioni e gruppi civici.

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