PROTEGGERE LA MAGGIORANZA E IL SUO CAPO: “LA MADRE DI TUTTE LE RIFORME”

di Michele BARONE

“Tra le molte concezioni della rappresentanza … una cosa sola va rigidamente affermata: che l’Assemblea eletta sia la più capace a costituire un Governo … atto a risolvere nel modo più rapido, fermo e univoco tutte le molteplici questioni che nell’azione quotidiana si presentano, non impacciato da preventive compromissioni, non impedito da divieti insormontabili, non soffocato da dissidi, non viziato nella origine da differenze ingenite di tendenze e di indirizzi”.

Queste parole potrebbero essere attribuite benissimo ad uno dei tanti sostenitori delle riforme che, negli ultimi decenni, sono state dirette ad assicurare l’artificiale formazione di una maggioranza parlamentare ampia, al fine di (tentare di) garantire la stabilità del governo.

Invece, si tratta delle parole pronunciate alla Camera da Benito Mussolini nell’ambito del dibattito che condusse all’approvazione della “legge Acerbo”, la legge elettorale approvata nel 1923 che garantiva una maggioranza amplissima (i due terzi dei seggi) alla minoranza più forte, ossia alla lista che avesse ottenuto un voto in più delle altre, anche se ben lontana dalla maggioranza assoluta (bastava che superasse il 25 per cento dei voti). Legge che, com’è stato sottolineato, non fu l’anticamera dello stravolgimento costituzionale provocato dal fascismo, ma rappresentò essa stessa il fulcro di tale stravolgimento.

Non mancheranno occasioni, nei mesi a venire, per discutere puntualmente dei singoli aspetti tecnici della riforma costituzionale proposta dall’attuale maggioranza. Va, tuttavia, evidenziato sin d’ora come essa si ponga rigorosamente nel solco delle principali riforme costituzionali degli ultimi decenni: quelle del 1999, del 2005 e del 2016, molto diverse tra loro, eppure accomunate dall’intento di porre limiti alle minoranze al fine di salvaguardare la maggioranza e, segnatamente, il suo “capo”, in connessione con sistemi elettorali ispirati dalla medesima ratio della legge Acerbo. 

Come ci ha insegnato la Professoressa Lorenza Carlassare, il costituzionalismo nasce precisamente per il fine opposto: limitare il potere (che, in democrazia, è rappresentato dalla maggioranza) allo scopo di garantire i diritti delle minoranze, a partire da quello di avere possibilità effettive di diventare maggioranza, in ogni momento, grazie alla forza degli argomenti. 

È solo su quest’ultima che può basarsi la stabilità della maggioranza e del suo governo. Magistrali, a tal proposito, le parole pronunciate alla Camera da Filippo Turati per motivare la sua contrarietà alla legge Acerbo: “Voi continuate a baloccarvi, signori del Governo, in quella quadratura del circolo che è l’abbinamento del consenso e della forza. Or questo è l’assurdo degli assurdi. O la forza o il consenso. Dovete scegliere. La forza non crea il consenso, il consenso non ha bisogno della forza, a vicenda le due cose si escludono”.

La trasversalità delle suddette proposte di riforma (avanzate dal centrosinistra, dal centrodestra, poi dal centrosinistra e, oggi, nuovamente dal centrodestra) è lo specchio della mancanza – ormai trentennale – di forze politiche che sappiano interpretare lo spirito del costituzionalismo. Non è un caso che tali proposte si riaffaccino periodicamente, in direzione ostinata e contraria rispetto ai chiari pronunciamenti popolari di segno negativo (referendum costituzionali del 2006 e del 2016). 

Sono convinto che neanche questa volta mancherà la forza popolare necessaria a fermare questo ennesimo tentativo. La storia, tuttavia, sarà destinata a ripetersi sin quando, appunto, non sarà profondamente mutato il quadro politico: sin quando, cioè, i partiti non avranno rinunciato a porre in discussione la democrazia costituzionale – nella ricerca spasmodica dei modi per ottenere più potere – e deciso di iniziare nuovamente a utilizzare quello di cui già dispongono per occuparsi della cura degli interessi della collettività.

Occorre, pertanto, organizzarsi seriamente, non solo per far prevalere, di nuovo, l’opposizione a questo disegno nell’ambito della battaglia imminente, ma anche per consegnare al Paese un sistema politico che, anziché attentare continuamente alla democrazia costituzionale, ricominci, finalmente, a difenderla all’unisono.

Autore

  • Michele Barone è un giurista, dottore di ricerca in "Innovazione e gestione delle risorse pubbliche" nell'Università degli Studi del Molise nell'ambito del settore scientifico del Diritto costituzionale e abilitato all'esercizio della professione forense. Già presidente del Comitato molisano per il No nel referendum costituzionale sulla riforma "Renzi-Boschi", è ora presidente dell'associazione Uniti per la Costituzione e membro del direttivo nazionale del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale.

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