Nel corso di un’intervista di Fabio Fazio sul canale 9, durata quasi un’ora (52,33 minuti), il Santo Padre, Papa Francesco, per i primi venti minuti ha parlato della guerra, delle guerre, portando esempi per dire con sempre più forza e far capire che la guerra è solo distruzione e morte. Basta vedere le immagini che arrivano dall’Ucraina o da Gaza per rendersene conto e capire che la guerra è così, distrugge e uccide. E, a tale proposito, ha ricordato, le centinaia di morti al giorno a Gaza e in Ucraina, e, tornando alla seconda guerra mondiale, i ventimila giovani che hanno lasciato la propria vita sulle spiagge della Normandia.
La guerra è un’azione egoistica diversamente della pace, che vuol dire darsi la mano. È rischiosa, ma ancor più rischiosa è la pace. Una dichiarazione di guerra trova nel patriottismo, nell’imperio o nell’interesse economico le ragioni. In più di una risposta ha parlato delle armi, dei loro fabbricanti e venditori, delle banche e di quanti investono nelle armi, visto che è la merce che rende di più. Tant’è che molte volte le guerre si fanno anche e solo per provare nuove armi o per aumentare il commercio, scambio di armi. Ed è così che ha dichiarato “fabbricanti di morte” i fabbricanti di armi, ricordando a tutti l’atomica, anch’essa nelle mani di chi pensa alla guerra.
Il Papa, il solo a farlo, abbattendo un muro spesso di silenzio e di ipocrisia al pari di quello che separa il sistema delle banche e delle multinazionali, il neoliberismo del dio denaro che, mediante azioni di depredazione e distruzione, ogni giorno, e sempre più, avvelena la terra, l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e il cibo che mangiamo. Francesco, il solo a lottare ricordando che la speranza è la sola ancora di salvezza in questo tempo segnato dalla bomba atomica.
Mentre raccolgo e faccio mie queste riflessioni del Santo Padre – ben poche, per la verità, di fronte alle tante dell’intervista, stimolato dalle interessanti domande dell’intervistatore – arriva la notizia dell’impegno della presidente dell’Unione europea, Ursula Von der Leyen, di mettere a disposizione della guerra in Ucraina altri 50 miliardi di euro per nuovi acquisti di armi. Una notizia che farà ballare di gioia il presidente ucraino, sempre con la stessa divisa a dimostrare che della guerra è un patito; lo stesso presidente russo, che ogni giorno vede assottigliare la gioventù sovietica e sorride; i fabbricanti di morte, i produttori di armi; i vettori di morte, i venditori; i fanatici che godono vedendo esplodere all’esterno la loro guerra interiore.
Una cifra enorme, 50 miliardi di euro, che svuoterà ancor più le tasche degli europei che hanno meno denaro e, immediatamente, passare in quelle di chi già le ha piene. Il privato straricco ancora più ricco, che si appropria di tutto: sanità, educazione, trasporti, energia, acqua e, fra non molto, anche di quella poca aria rimasta, ancora possibile da respirare.
Un altro modo di fare la guerra, ma pur sempre guerra è, visto che anche questa volta il risultato, purtroppo, è segnato da: depredazione e distruzione del solo bene comune, il territorio; feriti e morti; nuovi poveri e novelli migranti. Conosco una sola arma che non uccide, non prodotta da fabbricanti di morte, ma dal popolo che torna nelle piazze a sognare insieme un nuovo domani, a lottare per costruirlo, ed è la politica. Oggi nelle mani del sistema, che non la utilizza trovando più comodo e più facile l’uso del denaro. La sola, parlando dell’Italia, che può ridare la speranza al 40% e più di elettori che non vanno più a votare per non sentirsi strumenti nelle mani di venduti al sistema, capaci solo, nella quasi generalità, di eseguire gli ordini e passare subito alla cassa.
Se c’è un po’ di verità in quello che ho riportato e scritto, tu che mi leggi e ti senti, come me, parte di quel 40%, che pensi di fare? Continuare a stare alla finestra o telefonare a un amico per invitarlo a ritrovarsi in piazza e ritornare a dialogare? Importante per capire come ricomporre i cocci rotti lasciati dal sistema e farlo dando una mano alle nuove generazioni e, così, continuità al passato e, con il presente, al domani.