Lo sdegno ci assale tutte le volte che pensiamo alla bestiale violenza sessuale consumata a Palermo, a Caivano e in diverse altre parti del Paese. Violenza nelle realtà più degradate ma violenza anche tra le mura dorate dell’alta borghesia. La fame di violenza purtroppo scorre dappertutto.
In questo drammatico contesto assistiamo alla solita reazione tipica del “giorno dopo”. Proclami e buone intenzioni si sprecano. Manchiamo della capacità di agire il “giorno prima” e di mettersi in gioco. Padre Puglisi concludeva sempre gli incontri che facevamo con lui con l’esortazione a “fare ognuno qualcosa”.
Ho imparato sul fronte della lotta alla mafia e della lotta all’emarginazione che in Italia (ma un po’ ormai in tutti i Paesi) prevenire, progettare, costruire quotidianamente non è più il modo di agire delle classi dirigenti, soprattutto della politica. Tutto viene scaricato sul cinico gioco della “visibilità”: esisti solo se appari, solo se ti esprimi in modo paradossale e contro qualcuno o qualcosa. Si giunge all’estremo che anche stupri e violenze si filmano per metterli in rete, vantarsi e ricercarli successivamente con morbosità. L’ “Io-comunicativo” attualmente è il dominus nei rapporti umani e politici. C’è poca attenzione al “Noi-progettuale”, quel “Noi” che ha visione e agisce, che attua e verifica i risultati, che partecipa e costruisce insieme.
Anche nella lotta alla violenza sulle donne, con il dilagare di stupri e femminicidi, abbiamo bisogno del piglio del “giorno prima” e del mettersi in gioco personalmente.
Alcune idee sono già attuabili e alla portata di un cambio di passo.
1) Educare ed educarci alla relazionalità affettiva e sessuale, ai rapporti di reciprocità e di prossimità. È un percorso da attuare e incentivare concretamente a tutti i livelli: nella scuola, nel lavoro, in famiglia, nelle parrocchie, nei quartieri, persino nei “maledetti” social. Nessuno si senta escluso, il maschilismo e la violenza hanno ripreso il sopravvento, per cui bisogna rigenerare il senso della relazionalità paritetica e dell’amore gratuito e mai possessivo.
2) Punire con severità ed effettività chi usa violenza, con misure repressive e veloci, e sostenere le vittime, agendo per tempo e prima che siano colpite. Ci sono tutti gli strumenti e le norme per farlo, basta applicarle e, man mano che si sperimentano, correggerle: dall’uso del braccialetto elettronico alla formazione degli operatori di polizia e della stessa magistratura, dai provvedimenti cautelari presi in tempo reale all’effettiva espiazione della pena. Naturalmente ciò richiede attenzione all’agire piuttosto che all’apparire.
3) Risanare dal degrado i contesti urbani e gli stessi luoghi della movida, che oramai per l’ossessione del guadagno sono diventati ricettacoli di droghe e alcol, a danno delle nuove generazioni, con l’obiettivo di mettere al centro sia la bellezza e la pulizia dei luoghi, sia la socialità nei rapporti tra uomo e donna e tra le varie diversità. Il mondo del Volontariato sa come impostare un lavoro integrato di questo tipo, perché da anni agisce in silenzio, seppure senza sostegni pubblici, in tale direzione. È il tempo per prendere il suo contributo in seria considerazione.
Siamo a sessant’anni dalla marcia di Martin Luther King e dal suo storico “I have a dream”, dove sogno e concretezza procedevano insieme, così come i diritti civili e sociali, il lavoro e la democrazia, la libertà e la partecipazione. È un cammino che non si è fermato, anzi è ancora da compiere, pure nelle nostre Comunità e nei nostri Paesi.
Sì, è ancora un sogno attuale, da riprendere e rilanciare.