SUL RITORNO DELLE PROVINCE: FU VERA RIFORMA?

di Vincenzo NOTARANGELO

Un tema molto sentito in Italia è quello del riassetto degli enti territoriali intermedi che puntualmente torna quale argomento di discussione politica.

Anche la nuova maggioranza parlamentare pare volersi occupare della materia a cominciare dalla controversa riforma delle provincie. A riguardo si è già espressa la Corte Costituzionale che nel 2021 ricordava al Parlamento che “le Province sono nell’elenco degli enti costitutivi della Repubblica.

Esse devono essere titolari di funzioni proprie, cioè di funzioni che non possono essere attribuite ai Comuni. Le funzioni provinciali sono funzioni di area vasta, sovracomunali e non intercomunali”.

L’approvazione della “riforma Del Rio” voluta dal governo Renzi nonostante il clamore roboante dell’avvenuta soppressione delle Province in realtà le ha solo nascoste alla vista dell’opinione pubblica con l’eliminazione delle elezioni dirette; quindi le ha depotenziate ed esautorate di importanti funzioni e, soprattutto, le ha private di finanziamenti in attesa della totale cancellazione poi evitata dalla mancata approvazione della riforma renziana della Costituzione. 

In generale l’esistenza e l’autonomia di enti territoriali di decentramento decisionale sono valori fondamentali per una sinistra che si consideri tale. Avvicinare le istituzioni ai cittadini dovrebbe essere un merito e non il contrario, allora che senso ha avuto la presunta abolizione delle Province?

È innegabile che fra il livello cittadino e quello regionale-statale sia necessario un livello intermedio che consenta la gestione di certi servizi che per loro natura sono di area vasta. Penso alle scuole oppure ai collegamenti viari fra i centri di una determinata zona. Non a caso, in passato, sono nati enti di secondo livello quali le Comunità montane o le Unioni di Comuni a cui sono state affidate funzioni comunali ma da gestire su scala più ampia (nettezza urbana, trasporto scolastico, polizia locale ecc.) A questo punto non era meglio mantenere un unico ente intermedio rappresentato appunto dall’istituzione Provincia? E magari mantenere il rapporto immediato con i cittadini attraverso l’elezione diretta dei rappresentanti?

Auspico che la politica ritorni sui propri avventati passi, ripartendo da uno studio dei bisogni concreti che emergono  dal territorio e predisponga, in conseguenza, il modello di ente intermedio più adeguato.

Ovviamente la scelta fra un “ente territoriale di governo” ed un “ente territoriale strumentale” non può essere né casuale né riconducibile alla populistica riduzione dei costi della politica ma ad una valutazione basata sui principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione poiché al trasferimento di funzioni deve seguire l’attribuzione di risorse economico-finanziarie per ottemperare ai compiti affidati.

La Provincia, così ridisegnata, potrebbe essere quell’unico ente intermedio chiamato a gestire il territorio inteso come area vasta. Ad essa va però collegata la responsabilità degli amministratori il cui lavoro deve essere giudicato dall’elettorato, tramite le normali elezioni di primo livello.

Certamente le Province, mai realmente abolite ma solo ridimensionate da una riforma incompiuta che le ha rese inefficienti, vanno ripensate per l’importante ruolo che potrebbero avere nella erogazione di servizi ai cittadini su area vasta, dove il livello comunale non può e non deve intervenire.

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