TAGLIO A TUTTE LE SPESE SOCIALI E CORSA ALLE ARMI

di Michele BLANCO

In Italia registriamo una vergognosa irrefrenabile corsa al riarmo senza precedenti, nel 2025 il costo per l’Italia sale a 32 miliardi di euro.

Nell’incredibile e totale silenzio dei media mainstream, l’Italia si sta armando come non aveva mai fatto prima, nemmeno con la dittatura. Purtroppo non si tratta di esagerazioni ma della realtà effettiva, infatti basta guardare e analizzare la Legge di Bilancio come è stata condotta dall’Osservatorio Milex sulle spese militari italiane.

Per la prima volta nella storia della Repubblica il budget militare supera i 30 miliardi di euro, gia quest’anno, attestandosi a 32 miliardi per il 2025. Di questi, ben 13 miliardi saranno destinati all’acquisto di nuovi armamenti, segnando una vera e propria escalation che supera, di gran lunga, in percentuale di crescita qualsiasi altra voce di spesa pubblica.

Un riarmo inutile per i cittadini italiani, ma un vero e proprio record. Sono 32 miliardi di spese che avranno un costo sociale enorme.

Mentre il dibattito pubblico si concentra su decimali di deficit e su piccoli aggiustamenti della manovra, sta passando inosservato quello che può essere definito il più massiccio riarmo della storia repubblicana. I numeri elaborati da Francesco Vignarca ed Enrico Piovesana parlano chiaro: in soli dieci anni, la spesa militare italiana è aumentata del 60%, per quale motivo? Si è passati dai 19,9 miliardi del 2016 ai 32 miliardi previsti per il prossimo anno.

Proprio nell’ultimo quinquennio la corsa agli armamenti ha accelerato vertiginosamente. Solo per dare un’idea dell’entità del fenomeno: nel 2021 si spendevano 7,3 miliardi in nuovi armamenti, mentre nel 2025 se ne spenderanno quasi 13, con un aumento del 77% in soli cinque anni. Un dato che dovrebbe far riflettere sulla strana e indecifrabile direzione presa dal nostro Paese e da chi lo governa, senza informare l’opinione pubblica.

Il ministro Crosetto, noto per i sui interessi nell’industria delle armi, dal suo ufficio di via XX Settembre, gestirà un “bilancio proprio” della Difesa di oltre 31,2 miliardi di euro, con un incremento netto di 2,1 miliardi rispetto al 2024. Un aumento senza precedenti nella storia, che si inserisce in un trend di crescita indecente ormai costante e imponente.

Ma i numeri, per quanto eloquenti, rischiano di non restituire appieno la portata di questo cambiamento. Si tratta di risorse che, confrontate con altre voci di spesa, assumono proporzioni imponenti, facciamo dei semplici esempi: spendiamo più in armamenti che in edilizia scolastica, più in missioni militari che in ricerca universitaria, dove non spendiamo che spiccioli se confrontiamo gli investimenti in ricerca delle altre nazioni europee.

La spesa militare italiana arriverà così all’1,42% del PIL (o all’1,46% includendo i costi indiretti), avvicinandosi sempre più a quel 2% richiesto dalla Nato. Vale la pena ricordare che questo obiettivo non è vincolante, ovvero non è obbligatorio spendere tanti soldi, ma sembra essere diventato una sorta di mantra per tutti i governi degli ultimi anni.

Aggiungendo poi ulteriori due voci di costi indiretti per basi militari e quote di compartecipazione per spese di natura militare in ambito Ue si potrebbe aumentare il totale complessivo di un ulteriore miliardo, superando quindi i 33 miliardi di euro.

Ci troviamo di fronte a una nazione, la nostra, che ha come priorità la spesa in armi: spese militari contro e al posto della spesa sociale.

Non deve sfuggire un dettaglio significativo: mentre il bilancio della Difesa cresce a ritmi vertiginosi altre voci di spesa rimangono ferme o subiscono enormi e inspiegabili tagli. È una questione di scelte e priorità, e le priorità di questo governo sembrano chiare: più armi, meno spesa sociale, per dirla con parole semplici.

Il paradosso veramente assurdo è che questa corsa al riarmo si verifica in un momento in cui il Paese avrebbe bisogno di investimenti improrogabili e massicci in sanità, istruzione e transizione ecologica. Settori che, a differenza della Difesa, non hanno la giusta attenzione e non stanno avendo incrementi di investimenti necessari e significativi nei rispettivi bilanci.

L’analisi dell’istituto Milex ci restituisce il ritratto incredibile, ma vero, di un Paese che sta silenziosamente cambiando volto, privilegiando la dimensione militare rispetto a quella civile, che vede la spesa per gli armamenti aumentare a scapito dei servizi essenziali e inderogabili per i cittadini.

Una trasformazione che meriterebbe un dibattito pubblico, con adeguata informazione, approfondito ed una discussione parlamentare seria, un confronto con i cittadini sulle reali priorità e esigenze del Paese. Invece, tutto avviene nel silenzio assoluto e sicuramente complice dei mass media e della politica, come se l’aumento esponenziale delle spese militari fosse un destino ineluttabile e non una precisa scelta politica.

Si spiega facilmente il fatto che la stragrande maggioranza dei giornali e settimanali italiani abbiano le stesse proprietà che posseggono le quote delle fabbriche di morte. Alcuni membri del governo e molti dell’opposizione hanno noti interessi personali in tali fabbriche, ma nessun telegiornale ci informa correttamente, chissà perché?

Dobbiamo chiederci: di questo passo dove andremo? Invece che ospedali avremo carri armati, invece delle scuole e università avremo aerei supersonici da guerra? Invece dell’assistenza agli anziani e ai poveri avremo navi supercorazzate da guerra e portaerei?

Autore

  • Michele BLANCO. Dottore di ricerca in “Diritti dell’uomo e Diritti fondamentali. Teorie, etiche e simboliche della cittadinanza” presso la facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. Tra i suoi saggi più rilevanti si ricordano: “La vera ragione dei diritti umani e la democrazia partecipativa come premessa al reciproco riconoscimento tra i popoli” (2006), “Democrazia deliberativa ed opinione pubblica emancipata” (2008), “Cosmopolitismo e diritti fondamentali” (2008), “Diritti e diseguaglianze. La crisi dello stato nazionale e al contempo dello stato sociale” (2017), “Nota critica a Thomas Piketty, Capitale e ideologia” (2021) “Nota critica a Katharina Pistor , Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza”, 2021. “Recensione critica a Thomas Piketty, Una breve storia dell’uguaglianza”  2021.

    Visualizza tutti gli articoli

Potrebbe piacerti anche

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da parte di questo sito web.

?>