Il lavoro viene riconosciuto nell’Italia democratica come il primo principio fondamentale della Repubblica, un diritto personale ma anche un dovere sociale che deve essere garantito e sostenuto dallo Stato.
Peraltro il giorno del Primo Maggio impone una riflessione più attenta sullo stato dell’arte nel nostro Paese.
Il governo si appresta a calpestare i lavoratori ed il valore del lavoro nel giorno dedicato alla loro celebrazione e tutto questo mentre, da Reggio Emilia, il Presidente della Repubblica ci ricorda che il lavoro è “indice di dignità” della nazione e deve produrre un reddito da consentire “una esistenza decente” della persona ed, ancora, che “il lavoro è parametro che permette di misurare l’effettivo livello di parità, sul terreno della occupazione e dei salari, tra donne e uomini”.
Domani per il governo Meloni sarà il giorno del provocatorio “Decreto lavoro” che, anziché sostenere il lavoro, taglia il reddito di cittadinanza ed aumenta la precarietà per cui sarebbe bene chiamarlo “Decreto precarietà” come qualcuno già propone.
Si vuole contrapporre i lavoratori ai poveri nella collaudata diatriba fra ultimi e penultimi per dividere gli avversari, trarne un vantaggio politico e cambiare la narrazione della storia .
Sarebbe stato lecito aspettarsi nel decreto governativo cambiamenti strutturali volti a combattere le crescenti disuguaglianze, invece la tutela del potere d’acquisto dei salari è inesistente e le poche risorse destinate al taglio del cuneo fiscale non bastano neanche per rispondere all’aumento dell’inflazione. Sul fronte della precarietà, anziché combatterla, si va in direzione opposta favorendo un aumento della stessa tramite il prolungamento dei contratti a termine e una cancellazione delle causali. Infine sul versante del Reddito di cittadinanza, unico strumento in Italia di contrasto alla povertà, siamo davanti alla sua cancellazione per sostituirlo con un istituto dall’acronimo altisonante ma che, di fatto privo di risorse economiche, genererà nuovi poveri e favorirà l’odio sociale fra di loro. Scelte non condivisibili neanche in periodi di politiche di austerità e risparmio ma che diventano incomprensibili ed odiose allorché il governo decide di favorire gli evasori con i condoni della legge di bilancio e con la connessa depenalizzazione di reati e di sanzioni inserita nella conversione del cd. “decreto bollette”.
La gestione del Pnrr da parte della Meloni è improntata alla poca trasparenza con decisioni accentrate e partecipazione delle parti sociali ridotta ad un mero orpello così, se il Presidente della Repubblica valorizza del Pnrr la “ineguagliabile opportunità che offre per ridurre e colmare ritardi strutturali”, è legittimo aspettarsi che l’attuazione governativa del Pnrr non riuscirà nemmeno a ridurre le disuguaglianze territoriali ammesso che il governo, notoriamente favorevole all’autonomia differenziata, lo ritenga una priorità per il paese.
In questo scenario la convocazione fuori tempo massimo dei sindacati, ad appena poche ore dall’approvazione del decreto legge sul lavoro, in linea con una certa idea neo-corporativa della società, è parte integrante di una sceneggiata pensata per far innervosire la controparte politica e sindacale.
Ed allora, se questa è l’idea di democrazia e dialogo del governo più a destra della storia repubblicana, Resistenza e Lavoro devono essere uniti nella difesa dei valori democratici. Che sia un Primo Maggio di lotta che anticipi le giornate di mobilitazione che sono previste nel mese Maggio.
È arrivato il tempo di agitarsi, “perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza”!