UNA CONVERSAZIONE ISTRUTTIVA (Parte I)

di Gianni PRINCIPE

Un caro amico, che conosce Mario Draghi da molto tempo, mi ha scritto in un messaggino che il pezzo che ho pubblicato su Eguaglianza e Libertà è uno dei pochi in cui si affronta in modo equilibrato il tema dell’attuale Presidente del Consiglio: senza gli elogi stucchevoli che abbondano in giro ma senza nemmeno vederlo come l’alfiere del ritorno della destra liberista al potere.

La telefonata di ringraziamento è stata l’occasione per una chiacchierata per me molto utile, da cui traggo spunto per tornare sull’argomento. La paternità di ciò che segue è comunque solo mia.
Il pilota automatico
Con il mio amico ci siamo ritrovati nel definire la sua idea di politica come “aristocratica”. Non nel senso con cui oggi si parla di “governo dei migliori” (!) ma in quanto i cittadini dovrebbero affidare l’esercizio di cariche politiche alle persone che considerano migliori tra loro. Una concezione in cui hanno poco spazio i conflitti che animano la politica (e la dinamica sociale retrostante): l’idea è che ci sia sempre, tra tutte, una soluzione ottimale per i problemi e che la politica abbia il compito di ricercarla. Posto che il metodo democratico, la regola della maggioranza, sia il migliore per avvicinarsi all’ottimo, può non farcela: si entra allora in una situazione “di eccezione” in cui la democrazia ha bisogno di correttivi.
Concezione autoritaria? paternalistica? Certo, ma la definizione non ci aiuta ai fini del tema di cui si tratta. La domanda è piuttosto a chi spetta, in quell’impianto concettuale, la decisione in uno stato di eccezione (e come si correggono le decisioni “non ottimali” di chi assume quei poteri). Per Mario Draghi questo compito spetta ad alcuni organismi internazionali, legittimati a sovrastare il potere sovrano dei cittadini dei regimi democratici costituzionali. Questo intendeva quando, in più occasioni, ha usato la metafora del pilota automatico.
Significa che a quegli organismi attribuisce una patente di infallibilità? Non saprei dire (né il mio amico ha mai raccolto sue confidenze al riguardo) se si assolverebbe per tutto ciò che ha compiuto alla guida del Tesoro e della Banca d’Italia (organismi che non sovrastano ma hanno margini di decisione autonoma rispetto a quelli dove siedono i rappresentanti del popolo) e soprattutto della BCE. Pochi italiani (a parte sovranisti radical e speculatori finanziari) gli rimprovererebbero il “whatever it takes”: molti ricordano però che ha sposato la lettera di Trichet al governo Berlusconi (redatta con ogni probabilità in qualche palazzo romano) anche se quando ha assunto la guida della BCE c’era un diverso inquilino a Palazzo Chigi. Così come ha sposato per la Grecia la linea della Troika, di cui Varoufakis non perde occasione di ricordare le nefaste conseguenze per quel paese. Questo per dire che il pilota automatico può sbagliare rotta e che in quei momenti va reimpostato.

Autore

  • Giovanni Principe, detto Gianni, dirigente storico della Cgil, laureato in Architettura ed Economia del territorio, opinionista ed autore di varie pubblicazioni. Da 40 anni al lavoro, su economia e politiche del lavoro (Ispe, Cgil, Isam, Isae, Isfol). Impegnato per cambiare le cose; è il modo giusto di vederle.

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