Vorrei cominciare con le interessanti affermazioni di Papa Francesco: «… un altro valore che in realtà è un disvalore è la tanto osannata ‘meritocrazia’». Il richiamo alla meritocrazia affascina perché usa una intricante parola il ‘merito’, ma essa viene strumentalizzata e usata ideologicamente, viene snaturata e utilizzata in modo innaturale. La meritocrazia infatti, al di là della buona fede dei tanti che la invocano, sta diventando una legittimazione politica ed etica della disuguaglianza.
Da sempre il capitalismo tramite l’utilizzo della meritocrazia dà una veste morale alla disuguaglianza, perché interpreta i talenti delle persone non come un dono personale. La meritocrazia diviene una gara competitiva che porta all’accesso delle posizioni di vantaggio. Il criterio assoluto per vincere nella vita è il merito. Il merito legittima inesorabilmente le disuguaglianze nelle remunerazioni. In verità, la meritocrazia dovrebbe comportare un livellamento delle condizioni di accesso: tutti dovrebbero essere messi nelle condizioni di …, avere la stessa possibilità di sviluppo dei meriti a prescindere dalla classe sociale d’origine. L’accesso per tutti all’istruzione dovrebbe essere garantita con certezza perché l’istruzione è paradigmaticamente come lo strumento principale per potere “competere” secondo le proprie abilità. Il merito, nella prospettiva meritocratica, concerne, a sua volta, una proprietà del singolo, ossia, le abilità (siano esse cognitive o non cognitive) e lo sforzo erogato nel loro sviluppo. La bellissima critica di Papa Francesco mette in discussione sia la nozione di merito, sia il legame fra merito e remunerazioni presenti nella meritocrazia. Le abilità, anziché merito del singolo, sono un dono e un fattore casuale, esse non possono giustificare vantaggi e svantaggi cumulativi. Peraltro, molta parte delle capacità dipendono dall’appartenenza sociale: la famiglia di origine e il contesto in cui si cresce con gli stimoli che si ricevono. La stessa valutazione dei meriti spesso è casuale per i singoli, dipendendo sostanzialmente dagli altri, dal riconoscimento che gli altri danno. Potremmo avere un’abilità eccezionale in qualsiasi campo, ma se abbiamo la sfortuna che nessuno l’apprezza non avremo nessun riconoscimento mai. Naturalmente non voglio nemmeno tenere conto del tema scottante delle raccomandazioni e dei favoritismi, sempre presenti nella nostra società a tutti i livelli. La stessa natura sociale del merito comporta che essi dipendano dalle regole del gioco. La meritocrazia però afferma la necessità di un gioco competitivo, ma i mercati globalizzati non sono per nulla luoghi naturali e le regole stesse della concorrenza possono essere molto diverse. Le regole del “nuovo” capitalismo citate da Papa Francesco, e i meriti che sanciscono, sono profondamente carenti. Il richiamo “alla gara competitiva” appare assolutamente insensata, incongruente, quando l’obiettivo sia garantire a tutti le condizioni fondamentali alla dignità della vita umana. Non vogliamo una società di vincitori e vinti, vorremmo una società di uguaglianza almeno nelle condizioni di partenza per tutti. Nel fondamentale caso dell’istruzione, non vogliamo un’istruzione impartita con l’obiettivo di selezionare i migliori, senza considerare la grave e grande influenza dell’origine sociale, ancor di più vero per l’istruzione obbligatoria. Compito fondamentale costituzionale dell’istruzione obbligatoria è ricercare una base comune di istruzione. Lo stesso intento della meritocrazia sostanziale, di livellare le condizioni iniziali, oggigiorno, è un miraggio, sempre più irragiungibile. Nel mondo contemporaneo è difficile assicurare il pari accesso all’istruzione se non si interviene sulle condizioni più complessive di vita in cui i giovani crescono. La stessa meritocrazia pone anche una tensione inevitabile e, inesorabilmente, ineliminabile fra la legittimazione delle disuguaglianze operata dalla gara competitiva e la richiesta del livellamento delle condizioni di accesso a tale gara. Perché il livellare le condizioni di partenza richiede di tassare[1] le remunerazioni che si sono acquisite, o dovrebbero essere state acquisite, sulla base del merito. Il che ingenera una tensione fra il diritto a ciò che si è acquisito e il dovere del livellamento. Inoltre spesso chi vince le gare potrebbe sviluppare un senso di superiorità nei confronti di chi ha perso. Perché chi ha vinto il gioco meritocratico, o presunto tale, dovrebbe pagare per la scuola di bambini i cui genitori sono perdenti? Infatti le nazioni dove la cultura meritocratica è più radicata non si contraddistinguono per il livellamento nelle condizioni iniziali. Ma importante è sottolineare che l’uso della meritocrazia per giustificare le disuguaglianze attuali è una grandissima mistificazione della meritocrazia stessa. Nei mercati mondiali neppure le permettono gare essendo dominati da vincitori che prendono sostanzialmente quasi tutto. Torniamo al tema fondamentale dell’istruzione essendo una delle leve fondamentali della democrazia inclusiva, perché ritornando a promuovere la mobilità sociale, può diventare uno dei fattori di ridistribuzione del reddito e di contrasto alle disuguaglianze sociali, e in fondo il vero sostegno alla tenuta della democrazia. In questa prospettiva la lotta per un ambiente migliore si innesta nella lotta contro le disuguaglianze e nella rinata fiducia nell’investimento in educazione[2]. Ormai ci sembra evidente che sono necessari cittadini preparati e professionisti in grado di affrontare con nuove capacità immaginative le complesse sfide poste dalle attuali drammatiche crisi globali del mondo contemporaneo e in grado di sperimentare nuovi mondi possibili. Questo dovrebbe essere un giusto richiamo ai movimenti politici progressisti per l’affermazione degli ideali per un futuro sostenibile che accolga la pluralità delle persone e porti all’interconnessione nei diversi piani, sociale, ecologico e tecnologico. Una vera teoria democratica inclusiva deve tenere ben presente la teoria dell’egemonia culturale di Gramsci[3]. Infatti in ogni epoca storica si producono discorsi e ideologie che non fanno altro che legittimare la disuguaglianza esistente e chi detiene il potere non fa altro che cercare di descriverla come una cosa naturale[4]. Infatti abbiamo «il trionfo dell’ideologia meritocratica [che] porta inesorabilmente alla sua conclusione logica, vale a dire allo smantellamento delle norme previdenziali, di quella assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali, oppure alla riformulazione di tali norme – un tempo considerate un indiscriminato obbligo di confraternita e un diritto universale – in un atto di elemosina concessa da chi ne ha voglia a chi ne ha bisogno»[5]. Quindi le regole economiche, sociali e politiche che strutturano l’insieme delle società sono costruite dalle classi al potere per giustificare e implementare, quanto più possibile, i loro privilegi. Piketty spiega che, il mercato e la concorrenza, profitti e salari, capitale e debito, lavoratori qualificati e non qualificati, lavoratori locali e stranieri, i paradisi fiscali e la competitività, non esistono in quanto tali. Esse sono costruzioni sociali e storiche che dipendono interamente dal sistema giuridico, fiscale, politico, educativo e sociale prescelto dalle classi al potere e dalle categorie di pensiero e giustificative che si decidono di adottare. Infatti ogni società umana non fa altro che giustificare le sue disuguaglianze: bisogna trovarne le ragioni, altrimenti l’intero edificio politico e sociale rischia inesorabilmente di crollare. Ogni epoca produce quindi discorsi e ideologie che non fanno altro che legittimare la disuguaglianza esistente e chi detiene il potere non fa altro che cercare di descriverla come una cosa naturale[6]. Quindi le regole economiche, sociali e politiche che strutturano l’insieme delle società sono costruite dalle classi al potere per giustificare e implementare, quanto più possibile, i loro privilegi[7], questo è accaduto in tutte le epoche storiche. Lo studioso cattolico Ermanno Gorrieri[8] dichiara con grande semplicità che «la povertà economica, sia relativa che assoluta (…), altro non è che l’aspetto più grave e intollerabile di un fenomeno più generale: la disuguaglianza»[9]. La povertà, anche per importanti esponenti del mondo cattolico, e in generale le diverse forme di diseguaglianza sociale, sono i prodotti del funzionamento di un determinato modello sociale, non sono semplicemente il frutto delle distonie o inefficienze nei suoi processi regolativi. In fondo i meccanismi sia economici, politici, sociali e culturali, che generano la povertà per alcuni individui o gruppi sono gli stessi che producono benessere e integrazione per altri[10]. Nella globalizzata interconnessa realtà odierna, analizzando il ruolo del diritto, in particolare nei sistemi di Common law anglosassone che sempre più influenza il diritto applicato nella stragrande maggioranza delle nazioni, la studiosa Katarina Pistor sostiene che per «i capitalisti globali questo è il migliore dei mondi possibili, perché consente loro di scegliere le leggi che più li favoriscono senza dover investire nella politica per volgere le leggi a proprio vantaggio. … L’impero della legge … [è composto] da una serie di leggi domestiche selezionate, intessute assieme da regole, come il diritto internazionale privato»,[11] che permette a queste leggi di essere riconosciute e applicate in tutto il mondo[12]. Ecco a cosa ci sta portando il continuo richiamo alla meritocrazia: «I miliardari del mondo hanno continuato la loro stratosferica crescita dopo la crisi del 2008, e durante la pandemia hanno raggiunto livelli mai visti. Come mostra il rapporto sulle disuguaglianze globali del 2022, lo 0,1 per cento dei più ricchi del pianeta detiene da solo circa ottantamila miliardi di euro di capitali finanziari e immobiliari, cioè più del 19 per cento dei patrimoni su scala mondiale, l’equivalente di un anno di pil mondiale. La parte in mano al 10 per cento più ricco è pari al 76 per cento del totale, contro appena il 2 per cento del 50 per cento più povero. In Europa, un continente che le élite presentano come un paradiso d’uguaglianza, il 10 per cento più ricco ha quasi il 6o per cento del patrimonio totale, a fronte del 4 per cento posseduto dalla metà più povera della popolazione»[13]. Possiamo competere con queste elites? I figli degli esclusi avranno le stesse possibilità dei figli dei miliardari? Ma la meritocrazia esiste o è una chimera irragiungibile? Possiamo concludere inequivocabilmente che il mito della “meritocrazia” riesce a produrre nella realtà il suo opposto: privilegi per i privilegiati.
1 Per potere fare investimenti adeguati per la scuola, le università e tutto il sistema formativo.
2 Infatti secondo Piketty abbiamo «… un motivo semplice: lo sviluppo dipende innanzitutto dall’istruzione», in “Internazionale”, del 11/11/2022, n. 1486, p. 48.
3 A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di F. Platone, Torino, 1948-1951. Negli scritti del carcere si assiste a una ulteriore dilatazione, quantitativa e qualitativa, del concetto in questione, che finisce per costituire «il filo conduttore dei Quaderni», come mostra una semplice rassegna degli usi di egemonia, egemonico, egemone e così via. Nei Quaderni, infatti, l’egemonia è politica, politico-intellettuale, sociale, politico-sociale, civile, intellettuale, morale e politica, politica e morale, intellettuale e morale, etico-politica, culturale, economica, commerciale e finanziaria. Secondo Gramsci: «La supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente», in Id., Quaderni del carcere, Il Risorgimento, p. 70.
4 Una critica radicale a questa riconosciuta tendenza culturale degli ultimi decenni, la possiamo trovare in A. Pascale (a cura di), Il totalitarismo “liberale”. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, Napoli, La città del sole, 1018, in particolare nelle pp. 93-113, dove si parla di come «I mass media [sono] al servizio dell’imperialismo guerrafondaio», e nelle pagine 189-230, con le argomentazioni che riguardano «L’alienazione consumistica».
5 Z. Bauman, Voglia di comunità, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 58.
6 Infatti: «Ogni società umana deve giustificare le sue disuguaglianze: è necessario trovarne le ragioni, perché in caso contrario è tutto l’edificio politico e sociale che rischia di crollare. Ogni epoca produce, quindi, un insieme di narrative e di ideologie contraddittorie finalizzate a legittimare la disuguaglianza, quale è o quale dovrebbe essere…Nelle società contemporanee, si tratta in particolare della narrativa proprietarista, imprenditoriale e meritocratica: la disuguaglianza moderna è giusta, perché è la conseguenza di un processo liberamente scelto nel quale ognuno ha le stesse opportunità di accesso al mercato e alla proprietà e nel quale ciascuno gode naturalmente del vantaggio derivante dal patrimonio dei più ricchi, che sono anche i più intraprendenti, i più meritevoli e i più utili», in A. Testa, La lotta delle ideologie secondo Thomas Piketty, in “Internazionale”, https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia, visitato il 6 dicembre 2021.
7 T. Piketty, Capitale e ideologia, La nave di Teseo, Milano 2020.
8 Uomo politico italiano (Magreta 1920 – Modena 2004), rappresentante del cattolicesimo democratico e sociale, deputato e ministro del lavoro nel governo Fanfani (aprile-luglio 1987); fu tra i fondatori della Cisl di cui divenne dirigente sindacale; ricostituì (1993) con P. Carniti il Movimento dei cristiano-sociali.
9 E. Gorrieri, Parti uguali fra disuguali, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 30.
10 Si veda : A. Deaton, La grande fuga. Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza, Il Mulino, Bologna, 2015, pp. 30- 33.
11 K. Pistor, Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza, Roma, Luiss University Press, 2021, p. 20.
12 In contrapposizione con questo stato di cose abbiamo una situazione d’impotenza da parte dei cittadini normali di fronte al capitale finanziario che caratterizza questa fase del capitalismo globalizzato: «del resto, nonostante le dichiarazioni di crisi del capitalismo c’è generale consenso sulle strategie di intervento (alternanza di deregolamentazione e liberalizzazione e di cicli di intervento pubblico in momenti di instabilità). Fino ad ora, tutti i governi democratici, di destra e di sinistra, hanno perseguito l’obiettivo di salvare il capitale finanziario e il “big business” implementando programmi di austerità con il risultato di generare più povertà e più precarietà. E le rivolte, a tratti anche violente, come quella dei gilets jaunes francesi o le reazioni populiste non cambiano questa situazione … questo sistema è basato sulla produzione di povertà, di ingiustizie e di dominio», in N. Urbinati, Il rapporto tra capitalismo e democrazia. Tassare le ricchezze è l’inizio dell’uscita dal nuovo feudalesimo, in “Domani”, del 16/05/2021, p. 11.
13 T. Piketty,Tassare i ricchi per difendere il pianeta, in “Internazionale”, n. 1486, del 11 novembre 2022, p. 48